Dopo la Francia, che nel 2024 ha inserito il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) nella Costituzione, anche il Parlamento Europeo si pronuncia sul diritto all’aborto.
Rispondendo all’iniziativa dei cittadini “My Voice, My Choice”, il Parlamento si è recentemente espresso a favore dell’accesso universale all’aborto sicuro e legale con una risoluzione che, benché non vincolante per gli stati membri, resta un forte atto di indirizzo delle politiche UE di segno contrario alle restrizioni in vigore in paesi come Polonia, Italia, Malta, Slovacchia, Ungheria e Croazia.
Sulla questione dovrà ora pronunciarsi la Commissione, chiamata a decidere sull’istituzione di un fondo a sostegno delle politiche a favore dell’IVG e sull’eventuale adozione di misure legislative in risposta alla risoluzione.
In effetti, già nel 2022, una precedente risoluzione del Parlamento Europeo chiedeva di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali. La proposta, tuttavia, è rimasta inattuata posto che un’eventuale modifica avrebbe richiesto il voto unanime degli Stati membri, difficile da raggiungere a fronte delle differenti scelte politiche adottate.
In Italia, la storia del diritto all’aborto ha origine in un periodo di grandi trasformazioni sociali e mutamenti della sensibilità collettiva. La legislazione in materia non è mai stata il semplice esito di un progresso lineare, ma il risultato di un continuo confronto tra idee opposte del concetto stesso di vita, di libertà individuale, del ruolo dello Stato e della funzione del diritto penale.
Fino agli anni ’70, l’art. 546 del codice penale proibiva l’interruzione volontaria di gravidanza, punendo con la reclusione chiunque praticasse o subisse l’aborto, fatta eccezione per lo “stato di necessità” in casi estremi di pericolo per la donna.
Ma nel 1975 la Suprema Corte dichiarò incostituzionale la norma in contrasto con il diritto alla salute e alla maternità tutelati nella Costituzione. Questo in effetti aprì la strada alla legge n. 194 promulgata pochi anni più tardi, nel 1978, nata da un compromesso etico e sociale, volto a bilanciare il diritto alla vita del nascituro con il diritto all’autodeterminazione della donna e alla tutela della sua salute psico-fisica.
Nel 1981 gli italiani furono chiamati a pronunciarsi sulla L. 194 con un quesito referendario che confermò la scelta del legislatore. L’Italia passò così dalla criminalizzazione assoluta prevista dal Codice Rocco al riconoscimento del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza.
Ma nei decenni a seguire, in un continuo altalenarsi di spinte pro o contro l’IVG su un terreno politico quanto mai instabile, il legislatore è più volte intervenuto adottando una serie di “correttivi” alla normativa del ’75, tra cui l’obiezione di coscienza del personale sanitario nelle strutture pubbliche e, più di recente, la legittimazione delle associazioni Pro Vita nei consultori, che di fatto hanno reso estremamente difficile l’esercizio del diritto.
Anche sul piano mondiale, nonostante sin dagli anni ’60 e ’70 molti Paesi occidentali abbiano dato il via ad un lungo processo per depenalizzare o legalizzare l’IVG, in alcune aree si registrano oggi rollback legislativi, restrizioni e movimenti anti-aborto sempre più presenti sulla scena politica.
Così nel 2022, la Suprema Corte degli Stati Uniti ha annullato la storica sentenza Roe v. Wade, che aveva riconosciuto l’aborto come diritto federale, con la sentenza Dobbs, che ha rimesso nuovamente la scelta politica alla legislazione dei singoli Stati.
In Europa, dopo un periodo di legalizzazione parziale, con una sentenza costituzionale del 2020 la Polonia è tornata a vietare l’aborto, consentito solo in casi di stupro, incesto o pericolo di vita materna.
Ad oggi sul panorama mondiale, circa 67 Paesi hanno legalizzato o depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza; circa 100 paesi applicano regimi misti dove l’aborto è limitato a condizioni specifiche come rischio per la vita, salute fisica o mentale, o altre circostanze definite per legge; 18 paesi mantengono ancora divieti totali, tra questi nell’Unione Europea Malta.
L’evoluzione del diritto all’aborto dimostra come i diritti civili non sono mai conquiste definitive, ma risultati di lunghe battaglie politiche e sociali. Dare per scontato un diritto può indebolirne la tutela. Solo una vigilanza costante unita ad una coscienza collettiva può garantire che libertà fondamentali quali l’autodeterminazione delle donne per una maternità libera e consapevole continui ad essere riconosciuta e protetta.
Attendiamo ora il 2026 per conoscere le determinazioni che vorrà assumere in tema di aborto libero e sicuro la Commissione Europea.
