“Hey, Mr. Lennon.” Tre parole. Brevi, quasi insignificanti, eppure destinate a diventare l’eco tragico di uno dei crimini più scioccanti della storia della musica. È così che Mark David Chapman si rivolse a John Lennon davanti al celebre edificio The Dakota, a Manhattan. E furono tre anche le ultime parole pronunciate dall’ex Beatle: “I was shot”. Era l’8 dicembre 1980. Radio e televisioni in tutto il mondo trasmettevano incredulità, sgomento e dolore: John Lennon era stato ucciso. Morì tra le braccia di Yoko Ono, mentre l’assassino restava lì, immobile, impassibile, aspettando la polizia.

Da allora, sulla sua morte non sono mai mancate teorie, sospetti, ipotesi e c’è anche chi ha parlato dei soliti complotti firmati servizi segreti, FBI e CIA. Lennon era sotto osservazione, accusato di essere troppo vicino ai movimenti pacifisti e a ideologie considerate scomode in piena Guerra Fredda. “Marciare andava bene negli anni Trenta”, dichiarò ironicamente, criticando le spese militari e la guerra del Vietnam. Prima di diventare attivista, John era stato il cuore creativo dei Beatles, la band che cambiò la musica contemporanea, la moda, la cultura pop. Un fenomeno generazionale, irripetibile.

Quando il gruppo si sciolse, negli anni Settanta, Lennon costruì un nuovo percorso accanto a Yoko Ono. Non fu amato da tutti , molti fan non gli perdonarono l’allontanamento dall’immagine dalla band, ma fu in quel periodo che nacquero i suoi manifesti di pace: Give Peace” a Chance”, Happy Xmas (War Is Over) e soprattutto Imagine, una preghiera laica che avrebbe superato epoche, ogni confine e accarezzato ideologie.

Il famoso Bed-In ne fu un esempio: una settimana intera a letto, non per scandalo o provocazione, ma per parlare di pace davanti al mondo intero, con fotografi, delusi da tanta normalità, finirono comunque per immortalare una delle forme di protesta più originali e pacifiche della storia moderna. Poche settimane prima della tragedia, Lennon aveva registrato Double Fantasy, il disco del ritorno dopo cinque anni di pausa, dedicati alla famiglia e alla vita privata; quel momento di rinascita fu l’occasione perfetta per Chapman, che prima chiese un autografo, poi mise in atto il suo piano.

In tribunale si dichiarò motivato da ragioni religiose e personali: Lennon, secondo lui, aveva insultato la fede cristiana e osato proclamare i Beatles “più famosi di Gesù. La giustizia americana lo condannò per omicidio di secondo grado. Da anni tenta la libertà condizionale, ma ogni richiesta viene respinta, perché, la sua figura, secondo il Dipartimento penitenziario, resta “un pericolo morale per la società”.

Artisti, musicisti e registi hanno continuato a omaggiare Lennon nel tempo. Elton John con “Empty Garden“, Sam Taylor-Wood con il film “Nowhere Boy“, Andy Warhol con le sue iconiche rappresentazioni pop: tutti, in modi diversi, hanno contribuito a mantenere vivo il mito. E oggi, a distanza di decenni, John Lennon non è solo un artista del passato ma è un simbolo. Ad esempio, durante il primo lockdown globale, Imagine è tornata ad essere un inno mondiale, cantata dalle case di milioni di persone. Un brano nato nel 1971 e che ancora oggi parla a un’umanità che cerca ancora pace, senso e speranza.

John Lennon, come ogni mito, non era perfetto ma la sua voce, il suo messaggio e la sua visione continuano a vivere, perché alcune canzoni non appartengono al loro autore… appartengono al mondo.

Fonte immagini: Google

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