Nella quiete di una notte di ottobre, la periferia di Roma è stata scossa da un’esplosione che ha spezzato l’aria e infranto un simbolo: quello della libertà di parola. L’auto di Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore del programma d’inchiesta Report, è stata distrutta da un ordigno piazzato davanti alla sua abitazione. L’attentato, fortunatamente, non ha provocato vittime, ma ha lasciato dietro di sé il segno netto di un messaggio proveniente dalla suburra: far paura, intimidire chi scava troppo a fondo.

Le prime analisi degli inquirenti confermano che non si è trattato di un gesto casuale. L’esplosivo, collocato in modo da generare il massimo danno, avrebbe potuto ferire gravemente chiunque si fosse trovato nei paraggi, prima fra tutti, la figlia che era passata di lì pochi minuti prima dell’ora X. La precisione del gesto, la tempistica e la scelta dell’obiettivo raccontano una volontà chiara, quella di colpire non solo la persona ma il simbolo.
Ranucci, da anni volto e voce del giornalismo investigativo italiano, non è nuovo alle minacce. Le sue inchieste hanno spesso toccato poteri economici, politici e criminali, tanto da “godere” della compagnia di una scorta ferrea dal 2021, ma il passaggio dall’intimidazione verbale all’attentato segna una soglia diversa, quella del terrore come strumento di censura. È il tentativo di imbavagliare chi crede nel diritto di sapere.

Oggi, alle 16:00, si terrà un corteo di solidarietà a Roma, davanti Via Teulada, storica sede della Rai, in sostegno del giornalista e di tutti coloro che ogni giorno rischiano per raccontare la verità e chiunque cerchi di proteggerla, come i tre carabinieri (Valerio Daprà, Davide Bernardello e Marco Piffari), che proprio oggi lasciano la vita terrena, per volare in cielo, fieri. L’iniziativa, nata spontaneamente tra colleghi, associazioni civiche e studenti, si propone di trasformare la paura in partecipazione, con voce collettiva, che nessuna bomba più, possa cancellare la libertà di stampa.
La reazione del mondo civile non si è fatta attendere: giornalisti e cittadini hanno espresso solidarietà e indignazione. Ma la solidarietà, da sola, non basta! Le istituzioni non dovrebbero continuare a nascondersi dietro messaggi di cordoglio, dietro un tweet o post di circostanza. La solidarietà, da sola, non salva vite né protegge chi serve il Paese. Occorrono azioni, non frasi preconfezionate, perché la compassione è un dovere, ma la tutela è una responsabilità. Servirebbe una presa di coscienza collettiva: un attacco contro chi racconta la realtà è un attacco contro chi la vive. In un’ Italia che ha conosciuto i silenzi imposti dalla paura, la difesa della libertà di informazione non può ridursi alle sole parole. Ogni attentato di questo tipo è una ferita alla tanto agognata democrazia, ma anche un banco di prova per capire se le voci libere continueranno a raccontare, oppure se il rumore dell’esplosione riuscirà a sovrastarle.

Perché in fondo la verità è come una fiamma: può tremare sotto il vento dell’intimidazione, ma non si spegne. Anche tra le macerie di una notte di paura, resta una brace che continua a brillare, piccola, ostinata, pronta a riaccendersi.
Fonte immagini: Google e galleria foto personale
