
Non è solo il titolo di un celebre libro di Onfray, ma un’espressione coniata da Baruch Spinoza per indicare lo scopo del proprio pensiero: contribuire al più ampio esplicarsi della vita umana nel qui ed ora della sua dimensione terrena, individuale e collettiva, senza dover necessariamente confidare negli al di là delle religioni e delle metafisiche.
Da devota allieva della scuola filosofica e da umile appassionata della materia, oggi ho deciso di offrire ai lettori una riflessione che sposa la teoria di Onfray e mette a nudo uno dei meandri più reconditi del mio animo; non un “Pensiero di carta” ma un “Pensiero da vivere“, al servizio della vita, nel quale riflessione ed esistenza tendono a coincidere.
Ho sempre mostrato il petto alla vita guardandola negli occhi, senza affidarmi a ridicoli rimedi per sopportarne la forza o cercando qualche “Felicità” che si compra in comode rate e senza interessi, per non avvertirne il peso. Ho ripudiato cliché e trascendenza, schemi e dogmi, nascondendo una specie di “Spleen” in fondo al cuore. Ho imparato a camminare ma non a percorrere quel sentiero lastricato di difficoltà e inciampi. Pian piano, passo dopo passo, salita dopo salita, rischiando spesso di cadere. Ho vissuto, comunque, perché la vita merita la nostra accettazione non tanto perché sia bella, senza dolori o piena di promesse, ma perché è l’unica vera dote di cui disponiamo e dobbiamo riempirla di slanci, vitalità, amore, anziché mortificarla perché ombra di altre vite in altri scenari. “Se Dio non esiste tutto è lecito” pronuncia Ivan Karamazov; se questa ipotesi fosse vera siamo soli di fronte al mondo. E alla nostra vita. Ma se esiste, se il pensarlo non fosse solo un’ipotesi scaduta, sono certa che mai vorrebbe che il suo dono più prezioso lo sprecassimo giudicandolo piccola cosa, una sorta di transito vissuto in una sala di aspetto maleodorante e lercia, sopportandolo solo destrutturandoci, uscendo fuori da noi stessi, con qualche pasticca, bottiglia o sballo da fine settimana. Se Dio è il Gesù che pronunziava la frase più rivoluzionaria del tempo “Gli ultimi saranno i primi“, che non voleva fondare Chiese rapaci e potenti, che sapeva parlare alla gente, che seppe morire come tutti gli uomini, da solo, e non da Dio, un profeta mite, oscurato da scritture spesso interpolate e fantasiose, egli avrà sempre voluto che quel dono potessimo un giorno restituirlo pieno di cose incredibili, di visi incontrati, di mani strette e perse, di generosità, di amore dato e ricevuto, di piccoli gesti che fanno grandi gli uomini.
La vita da bambini è un’eterna sorpresa, fatta di cose concrete, da maneggiare per poterle scoprire. Le si tende la mano in un gesto oramai abusato, ma che da piccoli rappresenta un consegnarsi, un fidarsi cieco e incondizionato di chi stringiamo con quella piccola parte del corpo, senza sapere che forse mai più ci mostreremo con la stessa innocente e indifesa voglia di darci agli altri. Per questo motivo i bambini smontano spesso i giocattoli, mutilano bambole, mettono in bocca pezzi di macchinine. Più tardi impareranno ad usare l’astrazione ed i grandi concetti che li faranno uscire dal sensibile. La vita cambierà immagine, meno semplice, più spigolosa ed incerta: un percorso da intraprendere senza più quella mano che cercavamo per sorreggerci e guidarci. Soli.
Io ero ancorata alla terra ma aspiravo al cielo, all’ingenuo desiderio di far coincidere sogni e realtà. Ho attraversato le stagioni con l’ardore di colei che ha compreso e si nutre di speranze ed emozioni. Ho conosciuto il dolore nei suoi mille volti e non mi sono mai posta il problema della felicità, riconoscendola ovunque: nella profondità di uno sguardo, in un sorriso sincero, al di là di un tramonto, in una mano stretta nel momento del bisogno, in un gesto inaspettato o nell’abbraccio di un bambino. Ho cambiato piani e idee per cercare adattamento ad un mondo incomprensibile. Ho sempre scavato tra le pieghe di ogni scenario le immagini della mia infanzia. Mi sono adoperata per l’unico progetto che può dare fondamento all’esistere: l’amore. Non ho mai mollato cercando perdizioni o narcosi, perché l’ebbrezza e la distrazione le ho trovate nella musica e nella letteratura, nella poesia o in un buon bicchiere di vino.
Le luci del crepuscolo illuminano il resto del mio percorso ma non mi fanno paura. Aspetto il mio turno, continuando ad aver fame di vita.
Non ho paura.