
Si è spento a 101 anni la leggenda della Beat Generation, il proprietario della celebre libreria di San Francisco, il poeta statunitense Lawrence Ferlinghetti. A diffondere la triste notizia suo figlio Lorenzo, il quale ha raccontato ai media che la morte è avvenuta nell’abitazione dell’artista a causa di una malattia polmonare.
Classe 1919, newyorkese puro, protagonista di una difficile esistenza, il padre muore poco prima della sua nascita e la madre viene rinchiusa in manicomio subito dopo il parto; uscirà sei anni dopo chiedendo di rivedere il figlio, malgrado lui scelga di restare con la famiglia adottiva. Trascorre alcuni anni a Manhattan svolgendo umili lavori e studiando fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, arruolandosi in marina e trovandosi al cospetto delle rovine di Nagasaki: “L’inferno in terra che mi rese all’istante pacifista per tutta la vita”. Conclude gli studi alla Sorbona di Parigi, prima di tornare in America e stabilirsi a San Francisco, dove decide di aprire una libreria per scrivere in pace ed entrare in contatto con i cosiddetti artisti “Beat”, cambiando per sempre il suo stile di vita.
Immortale “Little Boy”, ha speso tutta la vita in nome della libertà destinata a durare per sempre, in preda al delirio di onnipotenza tipico dei giovani: ed è proprio la sua “Innocenza mai perduta” a fungere da chiosa alla sua autobiografia, uscita in occasione del suo centenario. Emblema della Beat Generation, conoscitore di Kerouac (autore del capolavoro “Sulla strada”), Ginsberg, Corso, Burroughs.
Colonna portante del suo secolo, Ferlinghetti ha ripetutamente ammesso di non sentire il peso dell’età e di avere tale certezza “a dispetto dell’irrefrenabile destino dell’umanità tutta di cui gli scienziati predicono una rapida fine con la Sesta Estinzione della vita su questa terra”. D’altro canto il poeta “è un funambolo, scala rime fino all’altissimo filo fatto di sua mano e in equilibrio sulla trave degli sguardi al di sopra di una marea di facce passo passo arriva all’altro capo del giorno… Perché lui è il super-realista che deve per forza percepire la verità tesa nel suo presunto avvicinamento a quella piattaforma più alta dove Bellezza sta e aspetta con gravità di spiccare il salto che sfida la morte”. Tali parole riecheggiavano come un grido solenne in una delle sue più celebri raccolte del 1958, “A Coney Island of the mind”, ed in cui veniva ancora adottato l’epiteto “Ometto chapliniano“; non è dunque una casualità che la sua casa editrice fondata nel 1953 portasse il nome di un film di Charlie Chaplin, “City Lights” (Luci della città). Un gruppo di artisti dediti all’alcool ed al fumo, alle dissolutezze ed al lusso sfrenato, si contraddistingue per la presenza di Lawrence, l’unico a vestirsi in maniera composta e a preservare una decenza morale. Egli stesso ammise varie volte la necessità di esser sobrio e lucido per lavorare ed aprire ogni giorno la libreria. Ferlinghetti vide inoltre Allan Ginsberg in “Howl“ (Urlo) chiedendogli di poter stampare il testo e ricevendo un’accusa di pubblicazione oscena che gli varrà un arresto nel 1956; verrà assolto difendendosi da solo dinanzi al giudice che gli riconobbe la libertà di espressione e di stampa.
Le pagine di “Little Boy” si conformano perfettamente e completamente all’anarchia del poeta: un lungo, articolato ragionamento introspettivo, quasi privo di punteggiatura, un susseguirsi di lemmi intrisi di sogni, riflessioni, ricordi, confessioni, citazioni da Dante a Flaubert ed il Joyce di “Finnegans wake”.
Divenuto quasi cieco, continua a scrivere grazie all’aiuto di un amico, Mario Zanetti. Ferlinghetti è stato un artista poliedrico, pittore, poeta, imprenditore di tanti amici, editore di un gruppo letterario totalmente diverso rispetto alla sua corrente di appartenenza, ispirata a Samuel Beckett e Jimmy Joyce. Lo provano le quasi duecento pagine di “Little Boy”, in cui si discute anche dell’Italia, del caffè Greco, l’unico Paese che ama e che gli offre la possibilità di aprire una succursale della sua “City Lights” nella città del Sommo Poeta, di esporre i suoi quadri a Roma e, nel 2011, di partecipare alla commemorazione per il 150 anniversario dell’Unità, durante la quale gli è stata dedicata un’apollinea mostra a Torino.
“L’universo trattiene il suo respiro / C’è silenzio nell’aria / La vita pulsa ovunque / La cosa chiamata morte non esiste”.