

Sta lì da più di un secolo, lo stadio di Twickenham, ma mai nessun azzurro ci aveva segnato due mete in un solo match; tanto meno durante il Sei Nazioni, il più antico torneo sportivo del mondo. L’ha fatto sabato Luca Morisi, milanese classe 1991, attualmente in forza alla Benetton Treviso. Segnare due mete nel tempio del rugby inglese (e dunque del rugby tout court: l’hanno inventato loro…) è impresa difficile da descrivere a chi non segua le vicende rugbistiche. È come vincere per distacco, in bici, all’Alpe d’Huez, segnare in finale al Maracanà, infilare una buca in un solo colpo sul green di Agusta, vincere alla prima apparizione sul Centre Court di Wimbledon. Esempio calzante, quest’ultimo, perché per Luca era pure la prima volta, a Twickenham; esordio da titolare, dopo una sola altra apparizione in panchina, nel 2012, senza però arrivare a toccare quel campo verdissimo che a un profano può sembrare “solo” un campo sportivo circondato da una piccola folla di 82mila persone ma che per il popolo ovale è più sacro della navata di Westminster per un vescovo anglicano… Tanto più ora, a poco più di sei mesi da quando il “Cabbage Patch” (prima del 1907 qui c’erano solo campi di cavoli, dal che il soprannome) ospiterà la finale della Rugby World Cup.
Purtroppo ininfluenti sul risultato, le due mete del nostro secondo centro sono un bel manifesto di determinazione agonistica. La prima con un “buco” da scassinatore nella muraglia degli avanti avversari, una breve fuga in campo aperto, placcaggio subito proprio sul finale ma la lucidità di rialzarsi “a molla” e con balzo felino planare in area di meta; la seconda con una passeggiata da trapezista a un millimetro della linea laterale (nel rugby basta sfiorarla per essere considerati interamente fuori dal campo), capace di resistere anche all’incornata finale di un bufalo in maglia bianca e di allungarsi poi quel tanto necessario a schiacciare l’ovale oltre la linea.
Impresa titanica per ognuno di noi, ma in fondo ordinaria per un atleta che appena 15 mesi fa, dopo un tackle durissimo del marcantonio figiano Tikoirotuma, dovette subire l’asportazione della milza. Per molti, per quasi tutti, sarebbe finita lì. Non per il piccolo grande (e grosso) wonder boy, con quella fasciatura sulle orecchie che ricorda i tempi eroici dell’ovale, la maglia pezzata di fango e la sfacciataggine di dire, dopo aver fatto la storia: “belle le mete, due grandi azioni di squadra. Che le abbia messe giù entrambe io, però, è stata solo una botta di c..”