
Ventunesima puntata di rubrica. Ventunesima giornata in serie A e ventiquattresima in serie B. Napoli e Avellino vincono entrambe, ed entrambe in trasferta. Il Napoli sul campo mai cordiale di Verona contro il Chievo dei “mussi volanti”, ciucci pure loro sebbene con le ali. L’Avellino sul campo di La Spezia contro gli aquilotti dello Spezia, nell’occasione scarsamente veloci e ancor meno rapaci. Il Napoli è terzo in graduatoria generale a soli quattro punti dalla Roma in serie difficoltà, l’Avellino è quarto avendo scavalcato in un colpo solo quattro squadre fra cui proprio lo Spezia. Per il Napoli il secondo posto ridiventa lo scopo dichiarato del campionato, dopo che già lo era stato all’inizio prima che i risultati altalenanti portassero gli stessi dirigenti a rivedere la dichiarazione programmatica. Per l’Avellino invece la dichiarazione programmatica del presidente parlava di posizione utile per i play-off, e bene o male la squadra ha sempre rispettato l’ordine, pur facendolo dondolare troppo fra sogno e realtà. Dopo la vittoria di La Spezia sembra di nuovo realtà, in attesa prudente però di una conferma nel prossimo giorno di vittoria obbligata e non solo facoltativa.
Con la sequenza temporale costantemente per criterio, cominciamo dal Napoli.
Si gioca di domenica pomeriggio e già questa è novità. Il pomeriggio sull’Adige è terso e freddo, ottimo per fare una partita di pallone. I convenuti sono circa ventimila, tanti per le abitudini dei veronesi di quartiere, e infatti molti sono napoletani. Rafelone, allenatore tentennante a concedersi anche per la stagione ventura, mette il sagrestano brasiliano in porta, Maggio e Strinic a terzini, Albiol al centro della difesa insieme a Britos, che sostituisce lo squalificato Koulibaly; in mediana David Lopez, ormai titolare fisso, è fatto aiutare da Jorginho; sulle ali Gabbiadini e Mertens, incursore De Guzman, per tutto il resto Gonzalo. La partita è da subito vivace, con il Chievo che senza paura si spinge oltre i limiti delle differenze tecniche innegabili, mettendo in ambasce la retroguardia azzurra un paio di volte nel primo quarto d’ora. Nella prima volta che va in ambasce la sua retroguardia, il Chievo però prende il gol, che è un autogol dello stopper Cesar in seguito a lancio di fino di Gonzalo per Gabbiadini, con questo che è contrato dall’uscita del portiere veronese Bizzarri che fa rimbalzare l’attrezzo sul petto del Cesar in corsa e quindi in gol. Il vantaggio quasi casuale potrebbe rendere quasi agevole la domenica dei pedatori in maglia bianca e brache azzurre (finalmente una degna divisa da trasferta), ancora più legittimati ad aspettare l’avversario e colpirlo di antico, semprebuono contropiede. La linea di condotta è tuttavia abolita in pochi minuti, per iniziativa del guardiaporta brasiliano che esce con titubanza su un cross dalla trequarti facendo carambolare in porta la sua respinta a pugni chiusi e a occhi pure. Uno a uno al minuto 24 e palla al centro. E da questo momento fino alla fine del tempo la palla è quasi sempre fra le zampe dei ciucci che volano, che quattro volte fanno tremare i ciucci di terra, soprattutto con il centravanti Pellissier Sergio, agile nella corsa e noto colpitore di capoccia che molto a suo agio sembra trovarsi fra i lenti difensori centrali del Napoli. Il primo atto finisce comunque pari e per il secondo ci si aspetta la reazione dei più forti alle ripetute offese degli insolenti. E in effetti, alla ripresa del cimento il Napoli fa per attaccare con coralità, Gabbiadini fa una gran giocata involontaria che gli consente di tirare al volo verso Bizzarri guardiaporta clivense, che se la cava in qualche modo. Si pensa che possa essere la prima cosa di una lunga serie dalle parti dell’argentino Bizzarri, e invece manco a pensarlo che i gialli di casa controbattono, mangiandosi un gol in mischia con tale bosniaco Zukanovic e fumandosene un altro in folata con tale finlandese Perparim Hetemaj. Il Napoli non riesce a trovare la giocata a centrocampo, avendone lì uno in meno rispetto al Chievo e non avendo in De Guzman una vera mezza punta e men che meno un suggeritore per Gonzalo. Così, per fare il gol del vantaggio gli azzurri devono rivolgersi alle fasce, dove sia Maggio che Strinic corrono con facilità e con piacere si sovrappongono ai colleghi di zona più avanzati. È Strinic, che sembra proprio pedatore internazionale, a fare il passaggio buono che l’ala come al solito in accentramento Gabbiadini gira con agio e perizia nell’angolo destro di Bizzarri, che si tuffa ma non ci arriva in tempo. Strinic e Gabbiadini, gli ultimi acquisti dell’ipermercato di gennaio. Solo adesso, dopo più di un’ora di partita, il Napoli comincia a palleggiare e a far andare il pallone con maggiore velocità, stante anche lo scoraggiamento del Chievo, mortificato come coloro che tanto impegno ci mettono in un lavoro ma niente ci ricavano. Il Maran Rolando allenatore dei veneti cambia modulo inserendo la punta Ruben Botta in luogo del centrocampista Valter Birsa, ma così facendo si perde la superiorità numerica nel mezzo. Quelli del Napoli possono finalmente comandare e godere di spazi, impostando pericolosi contropiedi che diventano quasi gol con De Guzman e Gonzalo, i quali non tirano bene. Rafelone mette dentro in sequenza Callejon, Gargano e Hamsìk, forse fatti riposare in funzione della partita di coppa Italia contro l’Inter, togliendo dalla vicenda Gabbiadini, Jorginho e Mertens, e i subentrati rispondono bene alla chiamata. Al minuto 93 ovvero terzo di recupero il difensore serbo Radovanovic (anche il Chievo ha tanti stranieri) trova un varco nell’area napoletana e arrangia un tiro di punta che per fortuna del Napoli colpisce il sagrestano e poi viene scaraventato lontano da un piede amico. Finisce due a uno per il Napoli, i cui pedatori si abbracciano proprio come chi se l’è dovuta sudare.
Nella serie B di clausura, per la partita di posticipo serale al lunedì si affrontano Spezia e Avellino, le due squadre che, insieme al Lanciano fu mitica Frentana, da più di un anno hanno gli stessi punti in classifica. Alla vigilia mastro Massimo ha pubblicamente chiesto ai suoi sottoposti di farsi perdonare la brutta sconfitta in casa contro il Cittadella giocando a La Spezia una partita “incazzata”, ed è stato accontentato. Oddio, niente di eccezionale, pochi tiri in porta, un gol e tanta difesa dura e ordinata. Comunque una vittoria in trasferta su un campo fra i meno violati della cadetteria e un quarto posto in classifica a un punto dal terzo e cinque dal secondo. Niente male per una compagine fatta in economia e con tanti virgulti giovani che, in quanto tali, come te lo danno una partita dopo te lo tolgono. A La Spezia hanno dato.
Mastro Massimo, che nella sgambata di rifinitura ha perso il terzino sinistro Visconti a causa di spalla malmessa e recidiva, schiera la squadra col modulo meglio conosciuto, disegnato su tre stopper, tre mediani, due terzini di fascia e due punte. Lo Spezia del fumantino mister croato Nenad Bjelica azzarda un modulo offensivo con tre mediani e tre punte vere, oltre alla linea alta di quattro difensori. Si gioca nel vecchio stadio “Alberto Picco”, quello dei vigili del fuoco “Campioni d’Alta Italia 1944”, con la curva dei fedeli locali come curva di velodromo e con l’altra curva, quella per i fedeli ospiti, chiamata “piscina” e nella circostanza occupata da duecento indefessi fanatici del lupo. In tribuna c’è Antonio Cassano, genio della pedata al momento libero da squadra e da fastidiosi allenamenti. All’inizio lo Spezia tambureggia, e al minuto 6 costringe il portiere nero al primo difficile intervento della serata. Tre minuti ancora e il terzino Bittante, titolare per l’assenza di Visconti, ben servito da D’Angelo si infila nella difesa spezzina e batte il guardiaporta argentino di nome Leandro Chichizola. Al primo gol in carriera del terzino ritrovato e agli abbracci dei rappresentanti nostri segue la performance di mister Bjelica, che protesta in maniera più che teatrale per un precedente fallo laterale a suo parere invertito e ovviamente viene espulso dall’arbitro. Non ancora soddisfatto della sua recita sguaiata, Bjielica allarga la camminata verso gli spogliatoi e passa davanti al segnalinee (ingiustamente) accusato per cantargli in versi e ritto in posa la sua requisitoria. Cosa possa scattare nella capoccia di un allenatore per fare tale sceneggiata dopo neanche dieci minuti di partita non riusciamo a capirlo. Facciamo due ipotesi. La Prima: Bjelica è cristiano esaurito e allora avrebbe bisogno di un periodo di riposo. La seconda: Bjelica è cristiano buzzurro maleducato e allora avrebbe bisogno di misure correttive del comportamento. Al gol dell’Avellino lo Spezia non risponde, o meglio, comincia a rispondere dopo una ventina di minuti di elaborazione dell’accaduto. Prima il terzino sinistro Migliore e poi il fantasista Catellani trovano gli spazi per scoccare verso la porta del portiere nero, che respinge con stile in entrambe le occasioni. Epperò il più quasi gol lo fa (o non lo fa) l’Avellino, con un cross di Regoli che impatta il tacco destro di Gianmario che a sua volta impatta lo stinco destro di Chichizola guardiaporta, che per sorte involontaria respinge la prodezza. Il primo tempo finisce coi lupi avanti di uno sugli aquilotti.
Il secondo tempo inizia con una sostituzione nello schieramento spezzino, uscendo tale Kvrzic ed entrando tale Stevanovic. Su un tiro d’angolo il difensore pomiglianese e sovrappeso Piccolo fa una mezza girata che per fortuna del portiere nero viene deviata da altro pedatore spezzino, inopportuno e fuori luogo nell’azione della sua truppa. La svolta della partita si presenta al minuto 64 sotto forma di espulsione del capitano buon terzino Migliore, che in cinque minuti rimedia due ammonizioni; la prima appare sacrosanta, la seconda (fallo di mano volontario seppur innocuo) appare sacrosanta per il regolamento ma eccessiva per il buon senso. Fatto sta che lo Spezia resta in dieci uomini e i lupi possono difendersi con maggiore tranquillità d’animo e soprattutto con minori aquilotti da inseguire. Così nella mezzoretta finale mastro Massimo ordina la barricata scientifica e lo Spezia riesce a fare un solo tiro pericoloso, su cui il portiere nero si allunga e mette in corner. Per legge della barricata scientifica in superiorità numerica, è l’Avellino in contropiede a sfiorare almeno tre volte il raddoppio, in cui due volte è protagonista il mediano Mariano (Arini), pedatore benedetto negli inserimenti ma dannato nel tiro. Entrano pure Mokulu, Almici e Zito in luogo di Gianmario, Regoli ed Eros, col compito di rinnovare stazza offensiva, garretti e corsa. Per la seconda e terza intenzione i cambi risultano azzeccati, per la prima lasciamo perdere per il momento…Vince l’Avellino, e stavolta i calciatori vanno sotto la curva per prendersi gli applausi, non l’insopportabile mezzora.