
Ottava puntata della nostra rubrica sul più elevato (di categorie) pallone campano, dopo un turno di campionato tralasciato nel commento per i troppi impicci extraredazionali del curatore; non preoccupatevi amici lettori, non è stato il primo buco e vi assicuriamo che non sarà l’ultimo. La chiamano gentilmente flessibilità lavorativa, il giovane e pletorico capo del governo vuole costituzionalizzarne il principio e abolirne quelli opposti, noi intanto siamo costretti a fare i salti mortali per campare e saltando saltando capita di saltare qualche partita di campionato. Ma “l’Italia viva evviva” dei giochini di parole da terza elementare vuole così…”Morìammazzati!” è il nostro gioco di parole di risposta, e ci rifugiamo nel romanesco solo perché il napoletano poteva risultare troppo poco sindacale.
Il Napoli, reduce dal pareggio beffardo di Milano in campionato e dalla sconfitta ineccepibile di Berna in coppa europea, travolge l’Hellas Verona nella partita al San Paolo e, almeno per un pomeriggio, regala ai suoi tifosi uno spettacolo simile a quelli dell’anno calcistico passato. L’Avellino invece, reduce anch’esso da una bruciante sconfitta sul campo di Bari, impatta in casa contro il Lanciano fu mitica Frentana e, pur non regalando granché di bello ai tifosi, riesce comunque a mantenersi nelle prime posizioni di classifica. In ossequio alla sequenza cronologica degli eventi, cominciamo il nostro leggero approfondimento dalla banda di mastro Rastelli. L’Avellino allora, privo dei centrocampisti Kone e Schiavon e del difensore Fabbro, affronta al Partenio-Lombardi la Virtus Lanciano degli ex Vastola, Thiam e Di Cecco, quest’ultimo pure capitano dei lupi in stagioni vincenti in C e perdenti in B. Biancoverdi d’Irpinia in completo verde e rossoneri della Maiella in completo bianco da trasferta. La partita è subito bruttina, fallosa e nervosetta, seppur l’Avellino nei primi dieci minuti tenta qualche sortita nell’area ospite e qualche conclusione invero più coraggiosa che pericolosa. Roberto D’Aversa, recente calciatore e attuale allenatore esordiente della Virtus Lanciano, segue l’impronta tattica dei suoi predecessori sulla panca frentana e schiera la squadra secondo l’organizzazione consolidata dei quattro in difesa, tre a centrocampo che diventano cinque quando l’attrezzo ce l’hanno gli altri, e tre in attacco che diventa uno nel caso appena citato. Col passare dei minuti gli ospiti, meglio addestrati in fatto di occupazione degli spazi e di ricerca di fraseggi, guadagnano metri di campo e convinzione di palleggio, arrivando più spesso dei locali dentro l’area avversaria e in maniera decisamente più preoccupante per il guardiaporta di zona. Così succede che Gomis, il portiere nero, sugli sviluppi di una triangolazione ficcante del tridente frentano d’attacco, prima ammoscia in uscita il tiro dell’ala sinistra Gatto consentendo al compagno Vergara di rallentare ulteriormente il pallone prima che quello superi la linea di porta, e poi, con Vergara ormai cascato dentro la porta e col pallone ancora nei pressi della linea e soprattutto fra i piedi di Thiam, decide per una lunga e molto disperata scivolata, con cui riesce ad opporsi al tiro per tutti già goal dell’attaccante senegalese e quindi a costringerlo ad un secondo tiro troppo ravvicinato al suo petto per non respingerlo di tracotanza sotto l’urlo del pubblico eccitato da siffatta prodezza. Insomma, se il primo tempo finisce zero a zero la “colpa” è di Gomis. Nel corso del primo tempo vengono frettolosamente ammoniti quattro giocatori, due per parte, e l’annotazione è necessaria per meglio capire la moria di uomini del secondo tempo. Moria che comincia al minuto 51, cioè al 6’ della ripresa, quando Rodrigo Ely e Mame Thiam, neanche ammoniti, si scazzottano blandamente nascondendosi dentro la porta di Gomis dopo un calcio d’angolo per la Frentana epperò vengono notati dall’arbitro, signor Eugenio Abbatista di Molfetta, che li manda a menarsi fuori dal rettangolo di gioco.
I due contendenti però, invece di continuare l’incontro più liberamente come tutti si aspetterebbero e vorrebbero anche per dare un senso al pomeriggio, fanno l’accordo di pace già prima di aver percorso dieci metri verso gli spogliatoi, così indispettendo gli spettatori di tribuna che, giustamente, si chiedono a chiedono ai due attori i motivi del teatrino se poi tutto doveva finire a tarallucci e vino. Che almeno continuassero la zuffa per santificare l’espulsione!…Tuttavia, lasciando i due finti litiganti il pubblico attizzato e le squadre in dieci, la partita si accende di confusione e di tackles ripetuti, con lo stopper lancianese Ferrario che si becca il secondo giallo e va a fare compagnia ai due compari Ely e Thiam. A questo punto, dieci rappresentanti dell’Avellino contro nove della Frentana, mastro Rastelli, solito speculatore tattico ma stavolta lettore solo superficiale della vicenda, pensa di mettere dentro una punta (l’ariete Comi) in luogo di un mediano (il corridore D’Angelo) nella convinzione di osare per vincere. La convinzione di Rastelli però finisce per sguarnire il suo centrocampo, per giunta in sofferenza dall’inizio e che invece avrebbe potuto trovare sollievo nella nuova condizione di superiorità, e finisce col far scadere tutta l’azione offensiva in lanci lunghi dalle retrovie per le capocce e le spallate di Gigione e Comi teoricamente favorenti i guizzi dell’altra punta Arrighini. Ma succede che Gigione non è in giornata di gran luna, che Comi viene braccato dalla difesa ormai fitta della Frentana e che Arrighini si sbatte ma non incide. E succede finanche l’impensabile, il gol della Frentana, su contropiede impostato dal subentrato avanti Cerri (mister D’Aversa anche con la squadra ridotta in nove cambia una punta con un’altra punta) che trova il suo capitano nonché terzino mancino fluidificante Mammarella ancora con voglia e forza di fluidificare, stante anche l’assenza di oppositori in maglia verde; Carlo Mammarella, esperto pedatore attivo perlopiù sul versante adriatico dell’Italia pallonara altresì dotato di notevole castagna sinistra ben nota nell’ambiente, giunto in solitario al cospetto del portiere nero fermo in una mezza uscita, ne studia un momento il posizionamento e poi lo vince con botta secca e precisa e ovviamente mancina. Al minuto 66 uno a zero per la Frentana in nove uomini, i pochi seguaci rossoneri al seguito esultano increduli mentre il resto dello stadio ammutolisce, incredulo a sua volta. E l’incredulità della parte avellinese diventa rassegnazione quando il terzino di fascia sinistra Visconti decide di ristabilire la parità numerica in campo, facendo uno di quei falli che l’arbitro di Molfetta non vede l’ora di sanzionare con l’ammonizione, che per Visconti risulta essere la seconda di giornata. Nove contro nove la brutta partita diventa una strana partita, i locali con due difensori e sei attaccanti e gli ospiti con sei difensori e due attaccanti. L’attaccante dei verdi Arrighini, desideroso di riguadagnare posizioni nelle grazie di Rastelli, continua a sbattersi con volontà e il suo zelo viene premiato al minuto 80, quando la difesa avversaria gli respinge su un braccio involontario (eppur decisivo) un pallone spiovuto da cross laterale e lui, svelto com’è nel breve, di destro lo spinge dentro la porta. Uno a uno. Resterebbero ancora dieci minuti per tentare qualcosa d’altro ma i diciotto superstiti in campo decidono che questo è.
Allo stadio San Paolo, in orario metà pomeridiano, il Napoli inzucchera la sua domenica e amareggia quella del Verona. Sei a due termina la sfida, e c’è poco da obiettare. Fin dall’inizio i ragazzi di Rafelone comandano il gioco e creano occasioni, indifferenti al gol preso quasi immediatamente per opera di Halfredsson su respinta malaccorta di Albiol. Dopo il gol subito a freddo il Napoli potrebbe incupirsi, invece scatena una tempesta di palle nell’area veronese, che una dopo l’altra si susseguono nei paraggi del Rafael veronese; dopo una serie di percussioni senza sosta e di tiri e tiracci scagliati da Insigne, Higuain, Maggio, Hamsìk e ancora Insigne, tutti parati dal portiere ospite, il pareggio arriva solo alla fine del tempo con destro di controbalzo di Hamsìk su cross di Callejon reso giocabile dall’irruzione di Koulibaly. Si va al riposo sul pareggio ma è chiaro che il Napoli nel secondo tempo ne farà altri. Difatti ne fa altri cinque, contro un solo altro del Verona, che però è bello (Nico Lopez l’autore) e soprattutto buono per pareggiare la sopraggiunta doppietta di Hamsìk e per non far passare le preoccupazioni sulla ciondolante difesa del ciuccio, che prende due gol su due tiri presi. Per fortuna di Rafelone e del Napoli Higuain, molto sostenuto dal San Paolo che ne urla il nome scandendolo in sillabe come si faceva una volta (“Hi-gua-in! Hi-gua-in!”), segna il tre a due un minuto dopo il due a due; Gonzalo decide la partita giacché, oltre al tiro del nuovo vantaggio e della nuova liberazione, nell’azione del gol porta il difensore avversario e suo marcatore Marques a farsi male nel tentativo di inseguirlo, e a dover essere sostituito. Non che Marques fosse il migliore del Verona, solo che il suo abbronzatissimo allenatore Mandorlini, nel tentare il tutto per tutto, lo cambia con una punta, il mistero glorioso Saviola, dopo aver già tolto un altro difensore, il danese Sorensen, per far entrare l’attaccante uruguagio Nico Lopez (che quindi è entrato e subito ha segnato). Alla fine del tourbillon il Verona si ritrova in campo quattro punte fisse, un gruppo di centrocampisti ormai dediti solo ad offendere e un solo uomo a difendere, il povero Moras (oltre al portiere Rafael). Ecco spiegate le tre reti del Napoli nell’ultimo quarto d’ora, a perfezionamento di contropiedi pure ben impostati ma alla stregua di quelli che si provano in allenamento, cioè senza difesa avversaria…Segnano Callejon e ancora Gonzalo due volte, la seconda di rigore, ma potevano anche essere di più. I venticinquemila fedeli azzurri da stadio applaudono i loro e sfottono con gioia sincera i figli di Giulietta.