
Settima puntata della nostra rubrica, un po’ ritardataria rispetto ai canoni settimanali e per questo tendente già al prossimo turno di campionato. La serie A domenica scorsa è stata ferma per consentire alla “nuova” nazionale di Antonio Conte di affrontare i “temibili” ostacoli azero e maltese nel girone di qualificazione alla fase finale dell’Europeo 2016. Ostacoli superati con molto periglio e solo di misura, per quanto punteggio pieno e primo posto nel girone sono argomenti che consentono a Conte e alla sua agghiacciante (è il caso di dire) dirigenza federale di farsi buona pubblicità. A proposito di soggetti agghiaccianti e per la serie “eroi che ritornano”, nei casini geopolitici scoppiati nella partita Serbia-Albania un ruolo di tutto rispetto è stato svolto da Ivan il terribile, capocamerata serbo che qualche anno fa mise a ferro e fuoco il quartiere e lo stadio di Marassi in Genova.
Il Napoli quindi, con i suoi pedatori migliori in giro per l’Europa e il Sudamerica, per dieci giorni si è allenato a ranghi ridotti in (lunga) attesa preparatoria del prossimo turno di campionato, in trasferta contro l’Inter del moltissimo ex Walter Mazzarri, uomo e allenatore di impostazione introversa ma di innegabile valore. Epperò il Walter a Milano non si sta trovando bene, lo chiamano “il piangina” e ci fanno su tanta burla; gli hanno anche dedicato una flagranza, “Lacrime di Mazzarri”, per via di quel suo vizio cristallizzato di attaccarsi agli arbitri e ai rigori non dati dopo ogni partita persa, ma certe volte pure se vinta o pareggiata. I lumbàrd non tollerano il vittimismo (tranne quello di Silvio, ma è altra storia) da terrùn, e difatti Walter, dopo esser nato a San Vincenzo livornese, ha frequentato troppo i campi di pallone del sud e le loro miserie per non prenderne gli usi e per non trasformarsi in un terrone della panchina nato al nord. Forse per questo a Napoli gli volevano e gli vogliono bene, anche se lui del terrone napoletano e del maremmano livornese non aveva e non ha la tendenza al pubblico mostrarsi per forza simpatico e ironico. Ma questi forse sono solo vecchi cliché buoni soprattutto per semplificare il racconto degli uomini, anche di quelli di pedata. Walter in realtà deve essere diverso da come gli riesce di apparire, perché uomo di personalità complessa: grande volontà infarcita di grande permalosità, così l’allenatore Mazzarri gode e subisce le conseguenze delle principali caratteristiche (manifeste) dell’uomo Walter. Nella laboriosa Milano non vedono l’ora di fargli la festa, con la scusa di avere il Walter mentalità troppo provinciale per guidare l’Internazionale. Ma il motivo molto più credibile e meneghino è che l’ex Napoli, passato al comando dei baùscia, non riesce più a far punti, giacché poco gioco ma tanti punti e vittorie faceva Mourinho, di gretta mentalità difensivista eppur adorato dagli interisti. Sembrano già lontanissimi i tempi della repubblica napoletana del Rio della Plata, quando lo “scamisado” Walter con Ezechiel ed Edinson di saetta i punti li faceva, eccome se li faceva… Intanto Marek Hamsik, principale orfano del centrocampo alla maniera Mazzarri, dal ritiro della nazionale slovacca ha rilanciato le ambizioni sue personali e quelle di scudetto della compagine partenopea, ma la cosa pare tanto una forzatura, un messaggio dovuto lanciato dal capitano al popolo un po’ depresso. Nella puntata precedente abbiamo scritto che il Napoli è fuori dalla crisi, riconosciamo di avere un tantino esagerato; diciamo che la squadra sta gradatamente uscendo dalla crisi tecnica, e che se a San Siro nerazzurro proseguirà nei progressi fatti nelle ultime tre esibizioni allora potremo essere più larghi di manica e più aperti all’ottimismo. Pure il presidente è ritornato dall’America (evidentemente in nave, visto il tempo impiegato dall’annuncio di arrivo imminente) per sostenere di persona e con cipiglio di padrone squadra e allenatore, sostegno subito diffuso alla stampa via twitter; in questi giorni di avvicinamento a Mazzarri riempiti di legittima (e magari pure tendenziosa) nostalgia da molti cronisti napoletani, l’ambiente ha bisogno di aiuto, di unione di intenti e di parole, proprio per non darla vinta a certi vissuti che ritornano.
Passando al versante geograficamente interno, ad Avellino la squadra di pallone ha riportato in vetta al campionato di B i colori biancoverdi dopo più di un anno dall’ultima e fugace volta. Battuto il Carpi al Partenio-Lombardi e gran visibilio per i fedeli del lupo. Adesso la classifica, all’ottava giornata (non alla seconda), dice primo posto, a pari merito con il Frosinone, ma tale particolare cambia poco nel tumulto dei cuori biancoverdi. A mastro Rastelli e ai suoi giocatori tutti i meriti dovuti, così come alla dirigenza, capace anche quest’anno di allestire una buona squadra nonostante la poca pecunia a disposizione. Se poi la rosa attuale ha davvero le capacità di fare un campionato di vertice è ancora presto per dirlo, ma la garanzia che i tifosi cercavano, cioè di avere una squadra competitiva e combattiva, può già dirsi acquisita. Anche contro gli ambiziosi carpigiani l’Avellino ha vinto di tecnica ma soprattutto di volontà, di spavalderia quando c’era da segnare e di attenzione quando c’era da difendere. Rastelli non è allenatore cicala, proprio per niente, nondimeno riesce a motivare le sue formicuzze a seconda delle necessità e a seconda del vento di giornata, riuscendo spesso ad applicare la tattica adatta alle lune dei suoi sottoposti. In più è uomo intelligente, che ben conoscendo la particolare genìa prestipedatoria sa come rivolgerle la parola, sa come esaltarla o indurla a badare al sodo. Contro il Carpi, ad esempio, dopo un primo tempo di gioco e di proposta (e di gol del vantaggio), nel secondo tempo la squadra ha cominciato ad arrancare e a soffrire; allora Rastelli, psico/tattico alacre, ha velocemente analizzato la situazione e deciso per la versione più adatta alla bisogna. Inutile cercare spazi e corse per ribaltare l’azione con frequenza, le forze dei soldati erano ormai ridotte e le abilità tecniche degli avversari (probabilmente superiori a quelle dei proprio uomini) stavano trovando modo di affermarsi. Meglio mettersi dietro a fare muro, in fin dei conti il pubblico di casa può essere aiutato ad aiutare i propri rappresentanti vedendoli attaccare, ma anche vedendoli difendere con ghigna un golletto di vantaggio. Oddio, forse domenica scorsa i giocatori hanno estremizzato le direttive di Rastelli e si sono trincerati troppo, al punto che nel secondo tempo non hanno mai tirato verso la porta avversa, e se il portiere nero non avesse fatto una grande parata dopo un paio già buone non avrebbero vinto la battaglia. Sia come sia la battaglia l’hanno vinta, con un gol dell’altro centravanti, quello più giocante di fisico e più incassatore di mazzate, l’ariete Gianmario Comi. “Altro” rispetto a Gigione Castaldo, il centravanti di eleganza, e di tanto altro…Così Rastelli ha trovato il modo di difendere il vantaggio soffrendo l’avanzata degli avversari ma non consegnandosi al tranello del loro palleggio. È come se avesse detto al suo omologo sulla panchina del Carpi, il mitico marchigianissimo Fabrizio Castori (“So’ sctati solo più fortunati de noi!”, il suo primo vernacolo in sala stampa): “Palleggia quanto vuoi e prenditi pure tutto il campo, io non mi faccio mettere in mezzo. Invece mi metto dietro è là ti aspetto, là nel campo ristretto dove il palleggio non serve più perché voi non siete il Barcellona che è capace di dribblare intere difese triangolando stretto. Voi siete bravini ma siete il Carpi, e di fronte a dieci (ma pure tutti e undici) dei miei i tuoi sono costretti a tirare da fuori o a buttarla in area, ma sempre con tre dei miei addosso…”. Potrà anche non piacere, ma questo è mastro Rastelli allenatore “risultatista”. Noi, finché ci fa vincere, ce lo facciamo piacere. Domenica prossima, in posticipo tardo meridian/domenicale, dicono per evitare le ombre del lunedì sera facilitabili baruffe fra opposte tifoserie (ma allora perché non farlo giocare alla luce piena delle tre del pomeriggio?), l’Avellino scenderà nell’ostile San Nicola di Bari contro i galletti locali, storicamente poco digesti ai lupi irpini dentro il loro pollaio. Tuttavia ad agosto scorso, era Coppa Italia, con gran sorpresa i lupi irruppero, mangiarono e digerirono bene.