
Seconda puntata della nostra rubrica sul calcio campano di serie A e B. Napoli e Avellino impegnate rispettivamente nella seconda e nella terza giornata del loro campionato, i partenopei in casa contro il Chievo di Verona e gli irpini anch’essi in casa contro lo Spezia di La Spezia. Notizie poco lusinghiere son venute dai due campi, col Napoli perdente e l’Avellino pareggiante a fatica, e già le critiche di stampa danno il Napoli in crisi assodata e l’Avellino in crisi latente. E’ vero che dopo sole due/tre giornate non si possono dare giudizi troppo aspri, ma è vero pure che l’inizio di gioco e di risultati delle due compagini non è stato incoraggiante. Intanto i tifosi degli azzurri e dei verdi sembrano aver già messo da parte qualche sogno estivo bello ma probabilmente impossibile.
Rispettando l’ordine cronologico degli eventi, continuiamo col breve resoconto della partita dei lupi di Avellino.
Nel sabato pomeriggio del Partenio-Lombardi i ragazzi di mastro Rastelli scendono in campo volenterosi e ferrigni, convinti di dare filo da torcere ai quotati avversari liguri. Rispetto alla brutta prova di Cittadella, Rastelli fa giocare dall’inizio Regoli e D’Angelo in luogo degli accusati Bittante e Arini. Sul versante spezzino il croato allenatore Nenad Bjelica aggiunge una punta e toglie un centrocampista alla formazione accreditata alla vigilia, ma la mossa si rivelerà azzardata e controproducente. La partita è subito vivace e combattuta, i locali attaccano di più e le loro avanzate verso la porta avversaria creano non pochi affanni alla difesa spezzina, che però riesce sempre a metterci le pezze soprattutto con il fisico dello stopper Ceccarelli e con quello del guardiaporta argentino Leandro Chichizola, forse preso da romanzo di Soriano. La falsariga dell’incontro, Avellino avanti e Spezia dietro, si mantiene fino al minuto 58, quando il difensore dei locali Ely fa fallo in area su Catellani provocando rigore per gli ospiti ed espulsione per se medesimo. Il rigore magari ci starebbe pure, ma l’espulsione come al solito è sommaria. L’incaricato dello Spezia di tirare il calcio franco, l’attaccante Ardemagni, cerca di scagliare il pallone sotto la traversa di Gomis, epperò sbaglia le misure e lo scaglia decisamente sopra di essa. Gomis portiere nero può esultare, pur sapendo che da questo momento in poi dovrà lavorare di più. Con l’uomo in meno a danno dell’Avellino cambia infatti la falsariga della vicenda, e inevitabilmente si sovvertono i ruoli: Spezia avanti e Avellino dietro. Arrivano presto i cambi di interpreti tipici della situazione tattica, la squadra con l’uomo in più aggiunge una punta e quella con l’uomo in meno la toglie, e lo sfasamento di forze in campo provoca ansia da gol per chi è in superiorità e sofferenza da resistenza per chi è in inferiorità. Nel caso di specie vince la resistenza verde, che riesce a pareggiare la sua partita anche grazie a errori di tiro piuttosto grossolani dei bianchi ospiti, che soprattutto in due occasioni vanno vicinissimi al vantaggio con Madonna e Ardemagni in processione dentro l’area dei verdi. Sulla capocciata ravvicinata di Madonna il prodigio lo fa Gomis, su Ardemagni invece il prodigio (più simile a grazia) lo fa lo stesso attaccante che manda fuori a porta vuota. Chissà, forse il centravanti si sarà ricordato che l’Avellino al mercato lo aveva insistentemente cercato…Zero e zero e timidi applausi dei fedeli irpini, più indirizzati alla sorte benevola che ai propri rappresentanti.
Passando alla massima serie, sarebbe superfluo raccontare la partita del Napoli di cui i lettori già conosceranno tutto. La sconfitta è stata tutto sommato immeritata, seppur la qualità della prova degli azzurri abbia lasciato alcune (forti) perplessità. Se poi pure il migliore della truppa, Higuain, fa i capricci e sbaglia un rigore, allora le combinazioni sono per forza negative e il periodo peggio ancora. Dopo l’errore dell’argentino insoddisfatto c’era pur sempre un’ora per vincere la partita, ma il Napoli non ha saputo mai arrembare sulla fortificata difesa clivense pur tirando trentatré volte verso il portierino Bardi. Il quale portierino quasi inevitabilmente si è valorizzato l’immagine (peraltro già buona), potendo disporre di una gran quantità di possibilità per parare comunque qualcosa. Tiri quindi tanti (coi piedi e di capoccia), ma nessuno imparabile, rigore compreso, e Bardi ha fatto il figurone. Figura molto più modesta hanno fatto invece Maggio, Albiol e Callejon, che non rendono più come dovrebbero e come la loro reputazione richiederebbe. Insigne è diventato il pretesto preferito per i fischi del pubblico del San Paolo, insieme a qualche altro collega poco sopportato dalla folla per ragioni varie. L’unico pedatore azzurro in fase di miglioramento sembra Hamsìk, che spesso si mette a giocare in porzioni di campo poco frequentate nel campionato passato, non sappiamo se per indicazione di Benitez o per ricerca errante di benessere individuale. Proprio Benitez, l’allenatore che doveva conferire il cipiglio sovranazionale alla squadra e al club, viene messo sempre più in discussione, anche sul piano della professionalità dopo il riposo esclusivamente personale di sette giorni a Liverpool. Su quest’ultimo punto in verità non vorremmo entrare visto che non conosciamo le ragioni della scappata inglese di Rafelone. Vorremmo entrare invece nell’impostazione tattica data alla squadra da Rafelone, tattica a nostro parere poco attenta ai dettagli difensivi e molto più tendente ad occupare, o a tentare di occupare, la metà campo avversa così da togliersi l’impiccio del difendersi. Questa tendenza si nota soprattutto nelle partite contro le cosiddette piccole, in cui il Napoli sembra non preoccuparsi affatto degli attaccanti degli altri, sicuro di vincere di prepotenza. Il problema è che non sempre “le piccole” hanno attaccanti di piccolo cabotaggio, e non sempre il disinteresse per i punti di forza degli avversari può essere coperto dalla continuità dell’azione offensiva proposta. Succede, proprio come contro il Chievo, che un barlume di contropiede trovi le retrovie azzurre in allegra gran confusione di quadriglia e che il golletto venga preso, con tutte le conseguenze sull’umore e sulla voglia irresistibile di catenacciare della piccola di turno. Anche a Genova, a ulteriore esempio, il Napoli aveva meritato la vittoria, arrivando infine a ripetizione e in gran numero dentro l’area avversaria, ma se dietro Koulibaly non avesse vinto, in campo aperto, diversi duelli individuali, probabilmente già a Marassi gli azzurri avrebbero sindacato la prima sconfitta. Ad Aurelio De Laurentiis viene imputato un mercato delle vacche troppo magro, deficitario, sparagnino, fino a rasentare l’immobilismo. È comunque una scelta aziendale, come dicono legittimamente papà Aurelio e figlio Edoardo, ma poi il presidente dovrebbe rispettare il buon senso dei tifosi senza proclamare obiettivi non adeguati alle possibilità. Del resto anche Rafelone aveva giudicato le operazioni di compravendita estiva perfette per le possibilità del club, mica perfette per le ambizioni padronali…Rafelone è simpatico uomo e scafata guida di chiese pallonare, a lui (e a chi altro sennò?) il compito di risollevare le cose della congrega napoletana. Per i paragoni con il precedente ministero Mazzarri c’è ancora tempo.