
[dropcap]R[/dropcap]apidissimo excursus sulla evoluzione storica della Previdenza in Italia:
Si comincia a parlare di Legislazione Sociale, verso la fine dell’800, a seguito del processo di industrializzazione in atto, ed a quello di inurbamento dei lavoratori, che lasciano le campagne per trasferirsi in città. Comincia dunque a porsi inizialmente il problema degli infortuni sul lavoro, e grazie anche ad una opinione pubblica che andava sensibilizzandosi sempre più, vi furono le prime norme a tutela dei lavoratori, con l’affermazione poi in seguito di veri e propri Diritti Sociali.
Nel 1898 con legge n.350, vi fu l’istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai, poi Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali poi ancora Inps.
Nel 1919, in effetti, è sorto il sistema pensionistico pubblico, in seguito alla istituzione obbligatoria della pensione per l’invalidità e la vecchiaia. Il sistema si basava sul cd. Metodo della Capitalizzazione, pertanto maggiori erano i contributi versati, che venivano investiti poi i immobili e titoli di stato, migliore era il trattamento pensionistico.
Durante il Regime Fascista vi furono numerosissime norme a tutela dei lavoratori, e nel 1942 ebbe luce anche il Codice Civile ( attuale ).
Nel dopoguerra, il sistema a Capitalizzazione entrò in crisi, perché l’alta inflazione aveva reso le prestazioni previdenziali del tutto inadeguate alla realtà dei fatti, pertanto attraverso una lunga serie di riforme, si giunse al cd. Metodo a Ripartizione. Con tale metodo i contributi versati annualmente dai lavoratori, verranno utilizzati per il pagamento delle prestazioni previdenziali di quello stesso anno (principio di solidarietà sociale ), e la pensione sarà commisurata alla media delle ultime tre retribuzioni, in più viene anche ad essere agganciata attraverso un sistema cd. Di Scala Mobile all’indice Istat del costo della vita ( 1968-69 ). Nel 1965 vennero introdotte anche la cd. Pensione Sociale e la cd. Pensione di Anzianità ( indipendente dalla età del lavoratore, connessa al versamento di almeno 35 anni di contributi ). Nel 1968 vi erano 600 mila nascite in più rispetto alle morti.[divider]Anche il metodo della Ripartizione, entrò ben presto in crisi, perché, ovviamente, tale metodo è efficace fin quando il numero dei lavoratori attivi è maggiore dei pensionati, fin quando cioè il saldo delle entrate/contributi nelle Casse/Inps è maggiore di quello delle uscite/prestazioni. Il boom economico e demografico degli anni ’60 è stato fuorviante, le grandi industrie già verso la fine degli anni ’70 sono entrate in crisi, il periodo di piena occupazione è durato meno di un decennio, il numero dei lavoratori attivi diminuiva sempre più, mentre il miglioramento delle condizioni di vita ed il conseguenziale aumento della vita media, portò ad un incremento del numero dei pensionati. Peggioramento, dunque, rapporto tra lavoratori attivi e pensionati, calo del tasso di natalità, calo del tasso di occupazione ed invecchiamento progressivo della popolazione.
Dopo oltre un decennio di inerzia, quando già lo sfascio erano chiaramente individuabile, difatti il 1993 sarà l’anno del Sorpasso, con il numero dei pensionati che supera quello degli occupati, solo negli anni ’90 con le Riforme Amato (1993) Dini (1995) Prodi (1997) si è iniziata una graduale riduzione delle prestazioni previdenziali, ed un altrettanto graduale ritorno al metodo Contributivo, cioè basato sui contributi effettivamente versati, con un sistema di finanziamento però a Ripartizione. ( Interventi tardivi ed inefficaci ). Nel 1997 l’età pensionabile andava da un minimo di 57 anni ad un massimo di 65 anni, in altri paesi quali Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, l’età minima era di 65 anni, inoltre in Italia l’incidenza degli occupati sulla popolazione attiva era del 48% mentre in Germania era al 63% e negli Stati Uniti era al 73%, in ultimo la demografia, che è una scienza, dimostrava come il trend della natalità fosse chiaro, in breve tempo l’Italia avrebbe avuto la popolazione più vecchia del mondo dopo il Giappone.[divider]Negli anni ’80 si sarebbe potuto intervenire, anzi si sarebbe dovuto intervenire, ma furono invece anni di inerzia legislativa. Proprio in quegli anni di “finto boom” come dimostrerà poi la storia, dove si è cresciuti aumentando la spesa pubblica facendo debiti a carico delle future generazioni, il problema previdenziale poteva essere risolto in maniera soft, senza grosse penalizzazioni per i percettori di pensioni e senza gravare sulle future generazioni. Nessuno osava mettere mano alle pensioni per non perdere consenso elettorale. Ecco i grandi politici, i grandi statisti che ci hanno governato……
Le riforme degli anni ’90 prevedevano: un allungamento del periodo di contribuzione, un allungamento della vita lavorativa , il graduale abbandono della folle pensione di anzianità che poi effettivamente scomparirà con la riforma Fornero del 2012, l’innalzamento dell’età minima per il conseguimento della pensione, l’aumento delle percentuali dei contributi da versare, un nuovo metodo di calcolo delle prestazioni agganciato al Pil ( Prodotto interno Lordo ) ed all’inflazione e sganciato dalle retribuzioni percepite (ritorno all’antico metodo a Capitalizzazione ). Tutte misure che seppur rallentarono l’incremento della spesa Previdenziale, furono inadeguate per il graduale invecchiamento della popolazione, e per il crollo dell’occupazione.[divider]Quando dunque, iniziai a lavorare, nel 1998, dopo le Riforme su descritte in sintesi, cominciai a sentir parlare anche sui giornali, in tv e nei dibattiti politici della inadeguatezza del sistema pubblico, perché la pensione non arriverà più a coprire fino all’80% del reddito medio degli ultimi anni, ma sarà meno generosa perché calcolata sui contributi versati e non più sulle retribuzioni percepite, e nella necessità di una Previdenza Complementare (nacquero i fondi pensione ) e individuale (cd. Sistema dei 3 pilastri ). Ma, non avrei mai pensato ad uno sfascio simile. Non avrei pensato che la generazione dei miei genitori era stata fortunata mentre la mia sarebbe stata sfigata anche dal punto di vista previdenziale, non avrei immaginato che le future generazioni sarebbero state più povere di quelle precedenti, non avrei mai pensato di dover lavorare fino a 70 anni e restare con le briciole in mano.
Massimiliano Notaro