È scomparso all’età di 85 anni Philip Roth, uno dei più grandi scrittori della seconda metà del Novecento in poi, osservatore dei vizi e delle ossessioni della mente umana, riuscì a delineare la piccola comunità ebraica americana in cui egli stesso era nato e cresciuto negli anni trenta e in generale la società americana.
L’esordio nel campo letterario avviene nel 1959 a soli ventisei anni con la raccolta di sei racconti “Addio, Columbus”. All’epoca era già professore di inglese e fu l’amico e collega Richard Stern a spingerlo a scrivere dopo aver sentito un racconto comico di Roth che dà il titolo al libro e parla di un ragazzo che trascorre un’ intera estate a corteggiare la figlia di un ricco commerciante. Il racconto riflette sui temi che diventeranno i temi classici di Roth: amore, sesso, ipocrisia, religione. Nel 1969 il suo primo grande scandalo con il “lamento di Portnoy”, il racconto tragicomico ed esplicito sulla conquista del piacere; nel ’81 “Zuckerman scatenato” che ritrae lo scrittore distrutto dal suo stesso successo; nel ’97 “Pastorale americana” che gli vale il premio Pulitzer, la più prestigiosa onoreficenza per i successi letterari. Da quest ultimo è stato tratto il film omonimo nel 2016 diretto e interpretato da Ewan McGregor, al suo esordio alla regia.
Nel 2004 viene pubblicato “il complotto contro l’america”, un racconto ucronico, dove la premessa è che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo a quello reale. Dal racconto verrà realizzata una serie tv.
Dopo aver smesso di scrivere nel 2012, Roth, si divideva tra il Connecticut e l’Upper West Side di New York. Il triste avvenimento è giunto in concomitanza dell’annuncio Dell’Accademia di Svezia che il nobel 2018 per lo scrittore non verrà assegnato, uno sberleffo che però non potrà sminuire la grandezza delle sue opere che sono ormai entrate a far parte del patrimonio letterario dell’umanità.