La sua festa cade oggi 16 novembre, giorno in cui i resti mortali del Santo furono trasferiti dal Cimitero di Poggioreale nella Chiesa del Gesù Nuovo e non il 12 aprile giorno della sua morte, a causa della prossimità con le celebrazioni pasquali.
Il 7 ottobre del 1990 è stata inaugurata la sua statua di bronzo, opera dello scultore Luigi Sopelsa. Prima di giungere a Napoli la statua fu benedetta da Papa Giovanni Paolo II a Benevento dove 110 anni prima nacque Giuseppe Moscati.
Quasi per tutti la prima tappa appena varcata la soglia della Chiesa è proprio la venerazione di quella statua; ai suoi piedi centinaia di fedeli ogni giorno invocano la sua protezione, accarezzano, baciano e si aggrappano alla sua mano bronzea che negli anni è diventata talmente lucida da sembrare d’oro.
L’altra mano, quella accostata al petto a tenere lo stetoscopio, custodisce e cela invece decine e decine di biglietti con preghiere e fotografie di ammalati, in cerca di guarigione e consolazione, confidando nel cuore grande del Santo.
San Giuseppe Moscati, infatti, è il punto di riferimento e di conforto di migliaia di fedeli e di ammalati che a lui si rivolgono con grande devozione affollando la chiesa e sostando in preghiera davanti alla sua tomba e alla grande statua che lo ritrae.
Santo particolarmente amato dai napoletani, la Chiesa – per la serie “gli esami non finiscono mai” – ha richiesto per la sua canonizzazione del 1987 un secondo miracolo dopo quello necessario per la beatificazione del 1975.
II suo studio, in via Cisterna dell’Olio, era sempre gremito di malati ai quali prestava cure gratuitamente e, a seconda delle condizioni economiche del paziente che aveva davanti, indicando il cestino posto nell’ingresso, li invitava a lasciare quanto potevano, se potevano, oppure a prendere quello di cui avevano bisogno, se ne avevano bisogno
Non era attaccato al denaro, vestiva modestamente, non aveva carrozze, cavalli o automobili, come i suoi colleghi medici. Non dimentichiamoci che eravamo agli inizi del ‘900 ed è essere Primario dell’Ospedale “Incurabili” a soli 31 anni e libero docente universitario a 32, poteva aprirgli tutte le porte dell’alta società e dei migliori circoli partenopei. Invece tutto ciò che guadagnava lo destinava ai poveri, fornendo loro non solo medicine, ma tutto ciò che era necessario per vivere.
Il 12 aprile 1927, martedì della Settimana santa, dopo aver assistito alla Messa e ricevuta la Comunione nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli e dopo aver svolto come di consueto il suo lavoro in Ospedale e nel suo studio privato, verso le 15 si sentì male, e spirò sulla sua poltrona.
Aveva 46 anni e 8 mesi.