
“Se muoio lasciate il mio balcone aperto, il bambino mangia arance… Se muoio lasciate il mio balcone aperto“. Si intitola “Congedo” una delle più belle poesie di Federico Garcia Lorca, musicata quasi profeticamente da una ragazza di Iglesias, che lo amava molto, Marisa Sannia, morta prematuramente qualche anno fa. Donna e artista umile e discreta, ma soprattutto poliedrica, avendo spaziato nel corso della sua carriera tra musica leggera, musica impegnata, cinema e poesia. Corpo esile ma energico, un “Incedere” esitante e grazioso, era una bella ragazza dalla voce chiara, dalla dolcezza che traspare da ogni gesto e da qualsiasi movenza. Era figlia di una terra orgogliosa e di uomini forti e riservati, la Sardegna, che per sempre portò nel cuore e a cui dedicò molte canzoni folk. La poesia sull’addio alla vita di Lorca sopra citata parlava, senza saperlo, anche di lei. Il suo balcone è veramente rimasto spalancato sul mondo, e ci piace pensare che da quell’apertura spaziale ci arrivi ancora il suo ricordo, sicuramente leggero come lo era lei, sempre molto timida ed allergica a qualsiasi forma di protagonismo.
Non era infatti donna da ribalta mondana, piuttosto un’artista schiva, malinconica, con caratteristiche retrò, ma senza apparire antiquata, avrebbe potuto essere forse una chansonnier esistenzialista nelle cave parigine come Juliette Gréco, ma tutti la conobbero sotto i riflettori di Sanremo. “Casa bianca“, canzone dolcissima e di memorie passate, di gioventù trascorse, melodia e testo semplici ma bellissimi, che fu composta da un cantautore bravissimo e forse poco consacrato, Don Backy, la fece conoscere al grande pubblico. Marisa Sannia fu interprete bravissima, scelta poi da cantautori importanti come Endrigo, Minghi e De Gregori per affidarle alcuni dei loro brani. Era dotata di grandi interessi culturali, e una volta abbandonata la musica cosiddetta “Commerciale” si dedicò al folk, ma soprattutto a studiare l’opera di un grande poeta: Federico Garcia Lorca.

L’album “Rosa de papel” uscito postumo sarà la testimonianza che quell’esile ragazza gentile, timida e intimista nel cantare era anche un’intellettuale e studiosa, poliedrica appunto. In quest’opera musicherà alcuni poemi di Garcia Lorca e lo farà in modo meraviglioso. La poesia, la bellezza, possono salvarci dalle brutture della vita e questo Marisa Sannia lo aveva capito, come sapeva che la musicalità insita nella lirica non richiede traduzioni o interpolazioni: va riportata nella lingua originale. Si leva in questa opera un canto melodioso che solo un’anima sensibile è in grado di emettere e di alzare al cielo, in nome dell’arte, del sublime, del “cante Jondo” il canto profondo del grande poeta andaluso. I versi cantati senti che vanno nel profondo del tuo animo, trasportati dalla voce dolce ed elegante, malinconica eppure mai straziante di Marisa Sannia.
Ed è proprio con una rassegna intitolata “Poesie di carta“, comprendente brani di autori sardi come Antioco Casula (“Sa oghe de su entu e de su mare“) e Francesco Masala (“Melagranàda“), liriche del periodo giovanile di Garcia Lorca alle cui parole Marisa Sannia unì il suono e la melodia, ed altro ancora, che Grazia Di Michele ha scelto di omaggiare la compianta artista. Una carezza di madre, un tocco delicato e sopraffino, il candore di un viaggio d’amore che rievoca Don Backy, Sergio Endrigo, Casula Montanaru ed i più grandi nomi del panorama musicale italiano.

Siamo certi che difficilmente un’altra artista avrebbe potuto raccontare e ricordare la figura di Marisa Sannia con altrettanta efficacia; questo perchè Grazia Di Michele, una cantante forse sottovalutata, possiede una sensibilità artistica e musicale che l’avvicinano tantissimo a quella di Marisa Sannia. Una voce delicata, calda, portata al successo negli anni ’70, durante i quali comincia la sua carriera al Folkstudio di Roma: è lì che incide il suo primo album, dal titolo “Clichè“, che indirizza i critici verso il suo talento. Nel 1986 il suo album “Le ragazze di Gaugin” le fa vincere la Vela d’argento, ma è nel 1990 che si fa conoscere dal pubblico, partecipando al Festival di Sanremo con il brano “Io e mio padre“, insieme a Nicolette Larson. In virtù di questi trionfi, torna a Sanremo nel 1993 con la collega ed amica Rossanna Casale, classificandosi al terzo posto con il brano “Gli amori diversi“. Negli anni ha collaborato con artisti del calibro di José Feliciano, Massimo Ranieri, Enzo Avitabile, Pierangelo Bertoli e Randy Crawford, e ad oggi è un’insegnante che si occupa anche dei problemi sociali, dedicandosi ai bambini disabili.
Grazia Di Michele rappresenta, insieme ad altri artisti come Rossana Casale, l’emblema di un certo tipo di musica leggera che vuole essere popolare senza svendersi e senza degradarsi, mantenendo sempre un livello alto; e sono proprio questa caratteristica e questo impegno a renderla una degna testimone dell’eredità di Marisa Sannia.
“Poesie di carta” è una rappresentazione che si snoda tra canzoni in italiano fra cui la celeberrima “Casa bianca“, canzoni in dialetto sardo ed in lingua spagnola: un tributo speciale e multiculturale ad un’artista morta troppo presto, che avrebbe avuto ancora tanto da dare, fatto da un’altra artista cui è toccata in dote la stessa eleganza sul palco e lo stesso modo di concepire la musica come mezzo per unire uomini e culture. Insieme a Grazia Di Michele renderanno omaggio alla cantante sarda i suoi musicisti storici, coloro che l’accompagnarono in un lungo e ambizioso sodalizio artistico, Marco Piras, Fabiano Lelli, Fabrizio Fabiano, Bruno Piccinnu ed Ermanno Dodano.
Lo spettacolo debutterà il 12 gennaio al teatro Golden di Roma, per poi proseguire il 30 gennaio a Macomer, il 31 gennaio al Teatro Garau di Oristano ed il primo febbraio al Teatro comunale di San Gavino Monreale.
Recita ancora Garcia Lorca: “Ogni libro è un giardino. Beato colui che lo sa piantare e fortunato colui che taglia le sue rose per darle in pasto alla sua anima!”: versi magnifici per declinare la bellezza della poesia. Siamo sicuri, o forse lo speriamo solamente, che il giardino di Marisa Sannia abbia dato rose bellissime che sono riuscite ad arricchire più di un’anima, quelle più leggiadre e piene, come era la sua.