
Cosa si intende per recruiting? Null’altro che il processo di ricerca e selezione dei candidati lavoratori, al fine di procedere, eventualmente, all’assunzione nelle aziende. L’operazione consiste, dunque, nel controllo delle referenze, valutazione del livello di istruzione, verifica delle certificazioni professionali possedute e delle competenze acquisite nel tempo. Ma cos’è che, oggi, rende questa pratica innovativa e all’avanguardia? La digitalizzazione, o meglio, la socializzazione 2.0. Nessuno, infatti, può più oramai esimersi dal servirsi dei social network per infoltire e affinare il proprio personale dipendente. Insomma, anche la ricerca del lavoro, oggi, passa da Facebook, Twitter e Instagram, dando vita così al social recruiting.
Fino a non molto tempo fa, il social studiato e diffuso allo specifico scopo di creare una rete di professionisti e fornire loro opportunità di lavoro era LinkedIn. Gradualmente, i procacciatori di talenti – in qualunque settore, dall’economia al marketing, dalla comunicazione allo spettacolo ecc… – hanno iniziato ad integrare al tradizionale sourcing offline (o limitato ad una sola piattaforma) alla più vasta ricerca online, passando per qualunque genere di account social in grado di fornire informazioni sul candidato. Perché la verità è che, ad oggi, di categorie lavorative non assuefatte o comunque indipendenti dai meccanismi del web ne esistono veramente poche. E se è vero, quindi, che la quasi totalità delle risorse umane è costantemente connessa – basti pensare che l’anno scorso il numero di persone presenti in rete è stato di 39,21 milioni, il 4% in più rispetto al 2015 – i suoi osservatori non possono che mostrarsi preparati e reattivi.
Durante la fase di indagine, i social recruiters mirano essenzialmente ad analizzare la qualità e l’ampiezza delle relazioni online. Difatti, è stato dimostrato che una buona rete di amici, followers e seguaci si traduce in un punto a favore nel curriculum vitae di chiunque sia alla ricerca di impiego, ma non solo. Secondo Anna Martini e Silvia Zanella, autrici di Social Recruiter. Strategie e strumenti digitali per i professionisti HR, libro must nel settore: «Le reti non si costruiscono in un giorno solo perché se ne ha bisogno, ma sono frutto di un processo continuo. Per questo è imprescindibile curare la propria reputazione digitale, sempre».
I numeri – generati dallo studio “Digital in 2017”, figlio di una collaborazione tra We Are Social e Hootsuite – parlano chiaro: solo in Italia, 31 milioni di persone utilizzano quotidianamente i social network, ovvero il 52% sul totale della popolazione del Bel Paese. E ciò, di fatto, indica che buona parte degli italiani è – più o meno consciamente – in possesso di un Google cv, ossia di un curriculum deducibile semplicemente digitando il proprio nome sul motore di ricerca. Questo però, per dimostrarsi utile al social recruiting necessita di essere amministrato con criterio e aggiornato con assiduità.