[dropcap]L[/dropcap]a Trisomia 21, nota come Sindrome di Down, è causata da una terza copia intera o parziale del cromosoma 21, in parole semplici da un cromosoma in più. Le persone affette dalla condizione cromosomica in questione, risentono di numerose e gravi complicazioni: a partire da ritardi cognitivi, ai disturbi di vista e udito, all’insorgenza precoce di Alzheimer, al maggior rischio di leucemia infantile, ai difetti cardiaci e del sistema immunitario fino ad una grave disfunzione del sistema endocrino. A differenza di malattie genetiche causate da un singolo gene, la correzione di un intero cromosoma nelle cellule trisomiche è sempre apparsa un’impresa quasi impossibile. Ma oggi, grazie agli studi effettuatati “in vitro” dagli scienziati dell’Università’ del Massachusetts (Usa), per la prima volta si è riusciti a dimostrare che il difetto genetico in questione e responsabile della sindrome di Down può essere abolito. Una scoperta fondamentale che apre la strada allo studio delle malattie cellulari implicate nel disturbo per migliorare la comprensione della sua biologia e che soprattutto in futuro potrebbe aiutare a trovare potenziali target terapeutici per mettere a punto cure mirate.[divider] E’ quanto pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica ‘Nature’. In particolare gli studi si basano sulla potenzialità del gene Rna chiamato Xist, che normalmente determina lo ‘spegnimento’ di uno dei due cromosomi X che si trovano nei mammiferi di sesso femminile. I ricercatori americani hanno dimostrato, in proposito, che la copia extra del cromosoma 21 può essere “zittita” in laboratorio utilizzando cellule staminali prelevate da un paziente. Jeanne Lawrence e i suoi collaboratori, dunque, potranno ora utilizzare questo potenziale per verificare se la cura “cromosomica” può correggere la sindrome in modelli animali (murini) della trisomia 21. Una grande rivelazione che semina speranza. Speranza di un futuro migliore per tante persone che ogni giorno si trovano a combattere con una realtà difficile e più dura di quanto si immagini.
Bruna Di Matteo