
Un gol dopo due minuti dall’inizio, un altro a due minuti dalla fine. In mezzo altri due gol e tanta dozzinale confusione. La sintesi tecnica del derby regionale di serie B Juve Stabia-Avellino potrebbe già andare bene così. Ma faremmo un torto alle rispettive consorterie di seguaci se non continuassimo la nostra cronaca mettendo in cima proprio loro, i tifosi di vespe e lupo. Infatti, nell’uggiosissimo giovedì santo serale consacrato al campionato (ma qualcuno ha capito il motivo della scelta? L’ordinario sabato santo pomeriggio perché non andava bene?…), gli unici a uscire vittoriosi e a testa alta possono essere solo loro, gli spettatori presenti. Indifferenti e buontemponi. Avevamo concluso l’ultima puntata di questa rubrica chiedendoci se al derby avrebbe vinto il sogno o il contentino; ebbene, non ha vinto nessuno dei due, e forse è stato giusto così, almeno in questo modo i fedeli presenti di entrambe le parrocchie non dovranno sentirsi riconoscenti verso nessuno dei santissimi ciabattatori in campo. Francamente, arrivati a questo punto i ciabattattori non lo meriterebbero. E come definire diversamente i ventisette che giovedì sera hanno arato l’erba sintetica del “Menti”? Veramente roba da serie inferiore, a tratti senza decoro e senza speranza, la speranza che prima o poi tre passaggi di fila si sarebbero potuti vedere. Ma alla vista di continui lanci lunghi, falli, tatticismi senza principi tattici, scivolate senza forza di rialzarsi, svirgolate lineari, controlli di palla controversi, stop a inseguire, tiri alla beccaccia, traversoni verso il mare o verso la montagna a seconda della longitudine di fascia, si dice che la speranza abbia abbandonato offesa lo stadio già al quindicesimo del primo tempo. E che nessuno abbia avuto il coraggio di parlarci per vedere se si poteva fare qualcosa. Se questo è un derby di serie B…[divider]
Meglio la Juve Stabia comunque, che se avesse vinto nessuno poteva dir nulla. Ma proprio il fatto che non è riuscita a vincere neanche questa dimostra l’inadeguatezza della squadra alla categoria. Paradigmatico del triste retrocedere delle vespe il fatto di non vincere una partita giocata sicuramente sopra le righe (a prescindere dalla qualità delle giocate) e contro un avversario allo sbando o quasi. Capitan Braglia e la sua ciurmaglia ben recepiscono l’ultimo invito proveniente dalla gente gialloblu prima di quello inevitabile di andare a lavorare, cioè battere i montanari di Avellino e rendere pan per focaccia dopo cinque mesi dalla sfida di andata e dai crudeli sfottò sorbiti al Partenio-Lombardi. Mastro Rastelli e i suoi muratori invece sembrano non aver elaborato i fischi ricevuti al termine dell’ultima partita interna contro il Brescia e continuano a porsi come se il campionato dei lupi fosse già sostanzialmente finito. Ne viene fuori una partita più o meno dominata dai padroni di casa, spinti dalla curva san Marco in fumosa coreografia e da uno stadio intero, più o meno intero, reso ancora più incazzato dalla pioggia. C’è poco da fare, a Castellammare ci tengono proprio alla partita contro l’Avellino, questioni di storie leggendarie da terza e quarta serie e questioni di orgoglio. Ricordiamo pure che il Menti è stato addirittura inaugurato dall’Avellino, nel 1985, e la scelta dell’avversario della Juve Stabia per quella occasione non fu casuale, visto che all’epoca i verdi si lustravano il blasone in serie A. Volevano proprio quel nobile (allora) avversario per batterlo (ovviamente) con baldanza e cominciare la nuova vita nella nuova casa. Finì 3 a 1 per le vespe davanti a quindicimila stipatissimi spettatori…Vabbe’, altri tempi, altri ingenui entusiasmi, altre leggi sulla sicurezza dei pubblici spettacoli.[divider]
In questa versione malinconica di pisciaiuoli-montanari di spettatori ce ne saranno cinquemila al massimo, e sono già tanti. I locali giocano senza giovani “primavera” da lanciare, la partita si deve vincere e Braglia si affida agli anziani. C’è Mezavilla, schierato battitore libero in mezzo ai marcatori, Ciancio sulla fascia destra e Caserta nel mezzo del campo. Ed è il capitano degli ultimi anni belli a suonare la carica e a segnare un gran gol in girata dal limite dell’area dopo soli due minuti e sotto la curva san Marco. Il catino stabiese si fa piccola bolgia e per l’Avellino timido e distratto comincia a farsi dura. Avellino in mischia con i tre ex Seculin, Fabbro e Castaldo e con il semprebuonoperlemazzate Biancolino in luogo del più pacifico Galabinov. In verità gli undici in elegante bianco con strass verde più che lupi sembrano agnellini, e il parallelo ci dispiace seriamente in questi giorni di inutile massacro delle innocenti bestiole (Ogni agnello è un individuo che può suscitare empatia e tenerezza, se preso come tale: ciascuno di noi lo sa, per esperienza diretta o semplicemente per immedesimazione. Ne arriva un’eco addirittura sui giornali, proprio nei giorni che precedono la Pasqua, con le immancabili notizie sugli agnelli sfuggiti al mattatoio e ritrovati su un prato o per strada. Ogni volta c’è chi se ne prende cura, dà loro un nome e fa conoscere ai cronisti l’edificante storia del condannato a morte che trova la salvezza grazie a un casuale benefattore. Lorenzo Guadagnucci). Anche quando finalmente entrano in curva ferrovia gli ultras della curva sud la voglia di lottare dei loro rappresentanti non migliora granché e anzi la Juve Stabia va vicino al raddoppio, e lo farebbe pure con Mezavilla ma il guardalinee fa sapere che è fuorigioco. La Juve Stabia, pur con tutti i suoi limiti di impostazione e di rettitudine difensiva, controlla la partita e punge spesso i polpacci dei poco protetti difensivi ospiti, spesso abbandonati al loro mestiere e alla loro arte di arrangiarsi. Fabbro in particolare risulta ferratissimo in questa specialità, arrangiandosi a scudo con tutte le parti del corpo…È il centrocampo dell’Avellino a essere fatiscente, nella creazione e nella distruzione, a tal punto che Rastelli dopo mezz’oretta toglie il mediano e occasionale capitano D’Angelo per tentare con il brasiliano languido Romulo Togni. Il colpo (di sole?) del mercato estivo dell’Avellino, e però evidentemente rimasto al deboscio agostano, torna a dare il suo contributo alla causa dopo diversi mesi di ritirata forzosa, e almeno fino alla fine del primo tempo, cioè per un quarto d’ora, corre e fa qualche buona apertura. Insomma la squadra appare un po’ meno arruffata e più presente a se stessa, sebbene riesca a fare solo una telefonata a Benassi che risponde quasi con tedio, mentre lo Stabia è ancora spesso presente nella terra di Seculin, prima risparmiato da Doukara e poi bravo a opporsi al colpo dell’indemoniato Caserta. Si arriva così al secondo minuto di recupero quando l’ennesima “preta a mare” partita dal campo avellinese trova la spallata di Fabbro (e chi senno?) per l’esterno destro roteante di Gigione Castaldo. Gol bello (ma non impossibile), Avellino ad arruffianarsi i tifosi sotto il settore degli schedati e stabiesi più sorpresi che avviliti. Il tempo finisce 1-1 e in tribuna comincia a prendersi a parole l’infortunato Lanzaro e il direttore sportivo avellinese De Vito. Quando dalle parole si sta passando ai fatti il dirigente avvocato, in sesquipedale minoranza di uomini e mezzi, decide di svignarsela e come dargli torto. Comunque, visti i precedenti della Juve Stabia, molti pensano che nel secondo tempo il più forte Avellino verrà fuori e vincerà mentre gli altri smarriranno grinta e motivazioni. Mai razionale previsione fu più sbilenca…[divider]Il secondo tempo inizia uguale al primo, nessun ravvedimento dell’Avellino e nessun calo della Juve Stabia. Il copione continua a prevedere i locali in attacco e gli ospiti né in difesa né in attacco, in una sorta di limbo della tattica pallonara che ha il potere di lasciare sempre sospese le proprie azioni di gioco. Le vespe sciupano almeno quattro occasioni, frutto di casinismi stravaganti ma pur sempre occasioni; nell’Avellino invece l’evento più significativo è il cambio Biancolino-Soncin, un vecchio e arrugginito puntero per uno più vecchio e arrugginito ancora. Al minuto 74’ però la volontà delle vespe è premiata dal gol di Caserta, che fa la sua doppietta con un’altra girata dal limite d’area stavolta di sinistro, dopo un buon lavoro di Doukara sul fianco destro dell’Avellino. Qualcosa in più Seculin potrebbe ma forse è spiazzato da una leggera deviazione. Altra grande (esagerata?) esultanza dei locali e tutto sembra tornare a finire. Rastelli mette dentro Galabinov (fuori Millesi) più per non sentirselo dire che per altro. I suoi non si sgrullano della noia esistenziale che ormai sembra attanagliarli e vanno avanti solo per rispettare il canovaccio. Le vespe, però, ormai hanno dato tutto quello che avevano e non ce la fanno più a fare miele dopo avere succhiato anche per le vie brevi i tentativi degli altri. Arini scialacqua un gol a porta spalancata ma forse l’arbitro chiama il fuorigioco. A tre minuti dalla fine Braglia tira via Caserta per regalargli il fragoroso battimani del pubblico: centrocampista completo e forte davvero Caserta, e se la fibra regge pietra da cui ripartire. Un minuto dopo l’uscita di Caserta ancora Arini sulla linea di fondo riesce, anche grazie alla scelta non interventista dello stabiese alle sue terga, a mettere una maliarda palombella sul secondo palo di Benassi, che non trova pronto Benassi ma trova pronta una capoccia calda e più alta del gruppo a spingere dentro la porta il 2-2. E’ la capoccia del bulgaro Galabinov, che pensa bene di rivolgersi subito verso la panchina e lanciare parole d’amore a Rastelli, peccato solo che le parole vengono smozzicate dalla mano pietosa di Peccarisi…[divider]Il restante è zuffa. A farne le spese l’innocuo Togni che si prende il calco dei tacchetti di Falco in fronte. Finisce in pareggio. Per la Juve Stabia cambia poco, seppur la vittoria sia stata fortemente cercata e potenzialmente meritata. Per l’Avellino tutto dipende dall’effetto che il gol di Galabinov potrà sortire sugli umori della squadra e del suo allenatore. Forse è giunta l’ora che ogni anima della combriccola se la mettesse per un po’ in pace, l’anima, mettesse da parte cose sue e si dedicasse all’unione (anche solo strumentale) del gruppo. Manca troppo poco alla fine per mollare tutto, anche in un clima non più sereno. E allora (porca miseria!) si giochi per gli irpini, che da secoli e per ragioni climatiche hanno imparato a praticare la massima gandiana che “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia…” Avanti, balliamo ché nel ballo già ci siamo!