In passato il termine “segrete” era relativo alle prigioni dei castelli medievali: si trattava di luoghi reconditi e nascosti, spesso sotterranei, ambienti particolarmente bui ed angusti. Le prigioni nascono col sorgere della società civile, inizialmente con la funzione di allontanare dalla vita attiva e separare dalla comunità quei soggetti considerati minacciosi per se stessi e nocivi per gli altri. A Napoli, una delle prigioni più celebri e terribili si trovava nelle viscere del Castel dell’Ovo. Il suo primo ospite illustre fu Romolo Augusto, ultimo imperatore di Roma, quindi d’Occidente, che Odoacre tenne damnatus in Lucullano exilio dal 476 d. C., ma dopo di lui ce ne furono molti altri. Oggi il tema delle carceri è all’attenzione delle istituzioni e lo stato di degrado in cui versa parte degli istituti di correzione italiani è preoccupante. La tendenza generale, in Europa come altrove, punta all’eliminazione graduale delle carceri per sostituirle con sistemi di pena e correzione alternativi, che scongiurino dei contesti troppo spesso di grande umiliazione nel fisico e nello spirito per i detenuti. Arte e carceri, bellezza e orrore, si sono sempre intrecciati nel corso del tempo: ed è questo il grande tema che il magazine d’arte Largo Baracche, in collaborazione con la galleria 1 Opera, oggi ha portato alla luce chiamando a raccolta i suoi artisti con la collettiva “Segrete”, proprio in quel luogo che secoli fa fu scenario di dolore e isolamento, dal 7 al 23 marzo, ad ingresso gratuito. La mostra è a cura di Giuseppe Ruffo e Pietro Tatafiore con esposizioni di Alessandro Bavari, Aria Secca, Krzysztof M. Bednarski, Arturo Ianniello, Nadia Al Issa, Choi Jaeyong, Marta Jovanovic, Hye joo Jun, Dejan Klincov, Corrado La Mattina, Daniela Politelli, Changan Son, Zero-T, Constantive Zlatev.[divider]Se vuoi ascoltare l’articolo letto dalle nostre redattrici clicca qui