La città di Napoli, secondo una ricerca dell’Università la Sapienza di Roma, si posiziona al 103esimo posto su 107 province nella classifica relativa alla qualità della vita. Indipendentemente dai criteri e dagli indicatori scelti per stilare questa classifica, chi vive quotidianamente la città non può non concordare con quanto emerge dalla ricerca: a Napoli si vive male. O meglio, a Napoli vive bene solo chi può permetterselo: Napoli negli ultimi anni è diventata una città profondamente diseguale, oserei dire classista. Napoli è una polveriera sociale e la politica negli ultimi anni non ha costruito alcun processo reale per diminuire le diseguaglianze e non ha saputo intercettare e valorizzare quello che di positivo emerge nei territori, soprattutto nelle periferie. Una città che cade letteralmente a pezzi: il crollo della Galleria Vittoria i cui lavori di rifacimento non sono ancora partiti, la devastazione del lungomare a causa di una violenta mareggiata, la voragine del parcheggio dell’Ospedale del Mare e il crollo parziale della Chiesa “Rosariello” a piazza Cavour sono il risultato di anni e anni di incuria e di una “non politica” di tutela e valorizzazione dell’immenso patrimonio storico e culturale della capitale del Mezzogiorno. Una classe politica ripiegata su sé stessa che ha pian piano portato la terza città d’Italia ad un isolamento politico ed istituzionale che l’ha relegata ad un ruolo marginale nel panorama politico nazionale. Eppure Napoli è alla vigilia di una serie di opportunità che potrebbero cambiarne definitivamente il destino. La partenza (sperando non sia per l’ennesima volta falsa) della bonifica dell’area ex Italsider di Bagnoli, il Grande Progetto Centro Storico di Napoli, i progetti della Regione Campania per la riqualificazione urbana di alcune zone della città e soprattutto il Recovery plan, sono delle opportunità che la città tutta non può sprecare, perdendo così l’ultimo treno che potrebbe portarla in una dimensione definitivamente europea. Centinaia di miliardi di euro pioveranno nei prossimi anni sulla città di Napoli. Spendere bene queste risorse, controllare come saranno spese rappresenta la vera sfida che tutti, ed in particolare chi si candiderà ad amministrare la città dopo l’esperienza arancione, dovranno fronteggiare. Non è la prima volta che al Sud arrivano finanziamenti sostanziosi a partire dall’intervento straordinario per il Mezzogiorno fino ai finanziamenti europei, e il passato non è dalla nostra parte: solo una piccola percentuale dei fondi strutturali sono stati spesi, sicuramente per colpa del malaffare, ma anche per la fragilità programmatica e progettuale delle pubbliche amministrazioni ed anche per l’incapacità dei cittadini e dei corpi intermedi della società (associazioni, comitati, sindacati, partiti) di partecipare, di interessarsi, di vigilare sulla modalità di spesa delle risorse. Cosa fare con il Recovery fund e come controllare in che modo saranno spese le risorse devono essere le domande ossessive che dovremmo porci nei prossimi anni. Sicuramente le risorse devono servire per garantire una ripresa economica ad un tessuto produttivo devastato dalla crisi dovuta al Covid-19, ma anche da scelte scellerate delle multinazionali (vedi il caso Whirlpool), ma dovranno servire, anche e soprattutto, per tenere insieme la società, per riannodare quei fili relazionali che la pandemia ha spezzato. E’ necessario investire sulla sanità pubblica con particolare attenzione alla medicina territoriale, su un sistema di protezione sociale efficace ed efficiente e su un’infrastrutturazione educativa effettivamente capace di contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa. Insomma come è scritto nell’ultimo rapporto SVIMEZ è necessario costruire “un percorso sostenibile di riequilibrio nell’accesso ai diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale: salute, istruzione, mobilità”. Negli ultimi giorni si sta parlando molto della governance per la gestione di queste risorse, della creazione di un’Agenzia specifica che dovrà aiutare e rafforzare le pubbliche amministrazioni locali nella loro capacità di spesa. Ma in questi ragionamenti manca del tutto, a mio avviso, il ruolo che le organizzazioni territoriali dei cittadini possono giocare in questa fase e in che modo possono offrire il loro contributo in termini di proposte e di capacità di controllo dei processi da attivare. Negli ultimi anni la città di Napoli ha visto nascere numerosi luoghi di confronto tra cittadini, come ad esempio l’Osservatorio Popolare sulla bonifica di Bagnoli, il comitato “Bipiani” di Ponticelli, e tantissime altre realtà associative della periferia nord e del centro storico, che hanno dimostrato di come è possibile attivare una partecipazione vera dei cittadini nei processi di riqualificazione urbana. Chi si candiderà ad amministrare Napoli per i prossimi cinque anni dovrà avere la capacità di costruire insieme ai corpi vivi e sani di questa città una visione di insieme, un progetto di sviluppo che tiene insieme l’ottica della Città Metropolitana con il necessario rilancio delle Municipalità, e che preveda nel contempo l’attenzione allo sviluppo economico e alla rigenerazione urbana e l’ossessione per la coesione sociale e la lotta alle diseguaglianze.
Di Nazario Festeggiato