
Napoli-Juventus non è una partita normale: Napoli Juventus, come direbbero gli spagnoli, è “mas que en partido”. Non contano la classifica o la forza delle due squadre: è un match che regala gioie ed emozioni uniche e tutte da vivere. Grandissimi campioni hanno deliziato entrambe le platee, partendo da Altafini a Maradona, da Platini a Del Piero, da Cavani ad Higuain, da Nedved a Pogba. Questa sfida, già molto sentita anche verso gli anni ‘60/’70, si accese definitivamente negli anni ’80. Un match, in particolare, è scalfito nell’angolo dei ricordi piacevoli, per tutti i cuori partenopei. Era il 3 novembre del 1985. Il Napoli di Maradona, davanti ad un San Paolo stracolmo, affronta la Juventus di Platini, da sempre avversario arcigno e molto difficile da battere. Gli azzurri venivano da annate difficili, dove non s’erano mai resi competitivi al punto tale da lottare per il vertice della classifica. In questa battaglia, le due formazioni si fronteggiano in maniera speculare, con occasioni da entrambe le parti. Solo il più grande calciatore del mondo può spostare gli equilibri d’una partita che s’avviava verso lo 0-0. Infatti è il 72’: l’arbitro, il signor Redini, assegna una punizione a due in area di rigore per il Napoli.
Si incarica Maradona della battuta. Bruscolotti e Giordano si lamentano con l’arbitro, per circa un minuto, poiché la distanza della barriera era del tutto inesistente. Maradona, in tutta tranquillità, s’avvicina a Bruscolotti e dice “ Non c’è nessun problema. Segno lo stesso”. Così la palla arriva a Maradona che, con un tocco soave, imprime un giro pazzesco alla sfera che si insacca alle spalle dell’incolpevole Tacconi, che rischia di urtare contro il palo. E’ delirio: il San Paolo, in quegli istanti, emette dei decibel che, a distanza di tanti anni, fanno venire ancora i brividi. E’ la rivalsa di un popolo denigrato, di tanti napoletani che soggiornano al Nord, lontani dalle loro bellezze e dai loro affetti. In quegli anni, la “questione meridionale”, era ancor più accentuata, e le discrasie tra Nord e Sud apparivano come fratture insanabili. Il calcio non rappresentava solo uno sport, un momento di condivisione, di socializzazione, di gioia o di delusione: il calcio assumeva un sapore particolare, eterogeneo, era motivo di orgoglio per un Sud arretrato ed oltraggiato in tutti i settori.
Oggi, forse, questi sentimenti si sono un po’ dissipati ed anche il calcio è cambiato, divenendo più un’industria che un semplice gioco. Ma speriamo che, stasera alle 20 e 45 allo Stadio San Paolo, vada in scena un vero e proprio spettacolo che ci delizi e per cui valga la pena stare incollati dinanzi ai televisori o perdere la voce, tifando, allo stadio. Oggi deve essere la festa del calcio.