
[dropcap]N[/dropcap]uovo colpo di scena nel processo Thyssen: ieri mattina, nella maxi aula del Palazzo di Giustizia, la corte d’Assise d’Appello di Torino, presieduta dal giudice Gian Giacomo Sandrelli, ha ridotto la condanna per dolo nei confronti dell’amministratore delegato Harald Espenhahn da 16 anni e mezzo a 10 anni. Espenhahn infatti, non sarebbe colpevole di omicidio volontario ma di omicidio colposo con colpa cosciente. Ad essere scontate, inoltre, sono state anche le sentenze per gli altri dirigenti del consiglio di amministrazione Gerald Priegnitz e Marco Pucci, condannati a 7 anni; per il direttore dello stabilimento Raffaele Salerno ed il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri: 8 anni; mentre per l’ ingegner Daniele Moroni la pena è stata ridotta a 9 anni.
I risultati del verdetto, sono stati immediatamente accompagnati dalle grida di contestazione e disperazione dei congiunti delle vittime: “Maledetti”, “Questa è la giustizia italiana, che schifo”. Una sentenza shock che ha colpito direttamente coloro che la notte del 6 dicembre 2007 hanno visto spezzate all’improvviso le vite di Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi, i 7 operai della ThyssenKrupp, deceduti nell’incendio che colpì la linea 5. Lo stabilimento quella notte fu abbandonato dalla dirigenza che, in vista del trasferimento dei macchinari, lo ha lasciato incautamente sprovvisto degli impianti di rilevazione e spegnimento antincendio, necessari come indicato dalla stessa assicurazione. Il 15 aprile 2011 furono riconosciute in primo grado le responsabilità dell’amministratore delegato in quanto consapevole della possibilità di infortuni anche mortali e di averne accettato le conseguenze per garantirsi risparmi economici.
La rabbia, dunque, è giunta alle stelle. “Non lo accetto, mio fratello e altri sei ragazzi sono morti e queste pene sono troppo basse” ha gridato una ragazza tra gli insulti irati della folla accanitasi anche contro gli avvocati difensori. Dopo l’emissione della sentenza che ha previsto la scioccante riduzione delle pene, i familiari delle vittime hanno deciso di occupare la maxi aula in segno di protesta, arrabbiati e stanchi dopo sette anni di continue lotte. Sette lunghi anni di attesa senza una giustizia sicura. Sette lunghi anni per essere colpiti e sconvolti di nuovo. Ma questa volta dalla giustizia italiana.
Bruna Di Matteo