
«Come mi sento? Sono in ansia. Perché questo è un processo epocale. E perché attendo questa sentenza da anni». Direttamente dagli Stati Uniti alla sua Napoli, Roberto Saviano torna oggi a Palazzo di giustizia. E intorno a lui scattano, come di rito, elevate misure di sicurezza e la folla degli appuntamenti d’interesse.
Si chiude infatti il dibattimento che vede lo scrittore vittima di «minacce aggravate dalla finalità mafiosa», insieme con la giornalista (oggi senatrice Pd) Rosaria Capacchione. Sul banco degli imputati, i boss Francesco Bidognetti e Antonio Iovine quest’ultimo, ormai collaboratore di giustizia e i loro ex avvocati, Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello. Processo durato due anni, ha messo in fila testimonianze importanti, comprese quelle degli altri due magistrati esposti nella lotta ai casalesi, Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone.
Scatta la blindatura delle giornate più dense, al Tribunale di Napoli: ma ci saranno anche cittadini, associazioni, e amici conosciuti, come il regista Pif (nome d’arte di Pierfrancesco Diliberto) a seguire stamane la sentenza con cui si chiude il processo che vede per l’ultima volta, uno di fronte agli altri Roberto Saviano e i suoi “nemici”, lo scrittore e i capi di quell’impero che egli stesso ha ribattezzato Gomorra. Tutto nacque proprio dal successo di quell’opera. La pubblica accusa, la scorsa primavera, ha chiesto il massimo della pena, un anno e sei mesi di carcere, per il padrino Bidognetti e per i due legali Santonastaso e D’Aniello, mentre è stata chiesta l’assoluzione («insufficienza di prove») per il superboss Iovine, oggi pentito.
Era il marzo del 2008, quando gli avvocati Santonastaso e D’Aniello, i difensori dei due capimafia dei casalesi, Iovine e Bidognetti, lessero in aula durante il secondo grado del processo Spartacus, dinanzi alla Corte d’Assise d’appello un’istanza di remissione che conteneva frasi ritenute subito «diffamatorie e minacciose» sia per Saviano e Capacchione, sia per i magistrati Cantone e Cafiero de Raho. Un atto del tutto irrituale. Un lungo messaggio che, secondo la ricostruzione della pubblica accusa affidata al pm Antonello Ardituro (oggi al Csm) stavano aprendo una nuova stagione di violenza da parte dei casalesi. Lo hanno raccontato nel corso di questo processo anche le articolate ricostruzioni, offerte dai magistrati Cafiero de Raho e Cantone (sentiti come testi: mentre il processo che li vede parti lese, per le stesse minacce, procede a Roma per competenza): dopo quell’istanza di remissione, si apriva hanno detto la sequenza di sangue e terrore che sarebbe stata affidata, di lì a pochissime settimane, alla ferocia criminale del superkiller Giuseppe Setola. E ora lo scrittore torna a guardare in faccia gli imputati. Saviano, ma perché questo è un processo epocale?
«Credo sia un processo unico, a suo modo senza precedenti perché, per la prima volta vengono accusati i vertici di un’organizzazione criminale per aver aggredito la libertà di stampa». Si tratta continua lo scrittore «di boss accusati dall’antimafia non come mandanti ma come diretti esecutori. Non solo: accusati con i loro avvocati di aver minacciato attraverso uno strumento processuale». Proprio nel corso dello svolgimento di questo processo durato 23 mesi il superboss Iovine ha deciso di collaborare con la giustizia. Ha cominciato ad esplorare moltissimi fronti: processi aggiustati, avvocati e magistrati coinvolti dalle accuse. Ragiona Saviano: «Aver portato Iovine a pentirsi e collaborare su questo processo è già una prima vittoria». Lo stato d’animo resta però quello dell’attesa. «Sì, sono molto in ansia : attendo questa sentenza da molti anni».
L’autore aveva scelto di farsi vedere in aula anche in apertura del processo, era l’autunno del 2012. Poi, come testimone, era stato lungamente sentito in aula ed aveva affrontato, com’è ovvio, il fuoco di fila delle domande degli avvocati dei boss. Un faccia a faccia così teso e a tratti sprezzante che era intervenuto il pm a calmare gli animi: «Calma. Questo non è il processo allo scrittore Saviano, gli imputati sono altri». Oggi si scrive la parola fine, in primo grado. (Fonte: “Il Mattino”)