

Di fronte alla piazzetta Riario Sforza si erge il Pio Monte di Misericordia, eretto da sette rappresentanti della nobiltà napoletana nel primo decennio del Seicento allo scopo di praticare, presso le classi emarginate della città, le sette opere di misericordia corporale. Già pratici dell’assistenza ai bisognosi per il loro volontariato presso gli ospedali i fondatori, da Cesare Sersale ad Andrea Gambacorta, figurano nell’albo d’oro della nobiltà napoletana e sui loro pari contano per raccogliere i fondi necessari sia all’edificazione della sede sia alle opere che trovano la propria conferma nella forma ottogonale della pianta, nei sette altari della chiesa, nei sette lati del tavolo delle riunioni, nei quadri allegorici e nell’attività ben presto intensissima del Monte, ma soprattutto nella splendida opera di Caravaggio, le Sette Opere di Misericordia, tuttora esposta sull’altare maggiore della chiesa.
L’attività del Monte continua tuttora per opera dei discendenti dei fondatori e delle famiglie dell’aristocrazia che vi si erano dedicate nei secoli successivi. Sulla trabeazione il motto Fluent ad eum omnes gentes è l’espressione emblematica di un impegno che non è mai venuto meno in oltre quattro secoli. Filippo III fu il sovrano che approvò la fondazione, Paolo V il papa che autorizzò la spesa perché l’edificio del Monte fosse degno dell’opera che si proponeva.
Non sappiamo chi sia adesso l’addetto alla collocazione dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti urbani. Posti tutti in fila dinanzi al porticato dell’edificio, questi fanno bella mostra di sé e allietano l’aria dei loro effluvi. Quale opera di misericordia praticare presso l’illuminato collocatore? Forse quella di visitare gli infermi?