[dropcap]S[/dropcap]ulla rabbia si è sempre parlato e scritto molto ma, personalmente, quando sento parlare di rabbia mi viene in mente l’immagine di un uomo che non riesce a liberarsi né dalla sofferenza né dalla sua fonte.
Cosa potrebbe essere così tanto grave da farci soffrire e di conseguenza farci arrabbiare: delusione, esclusione, svalutazione, scorrettezza? Tutti questi termini hanno però solo accezioni personali che creano estrema difficoltà nella ricerca di un significato universale per riuscire ad alleggerirne la convivenza.
Che significato ha la rabbia nella nostra vita e da cosa o come viene alimentata? E’ da qui che bisognerebbe partire. Un’altra domanda che potremmo chiederci si riferisce alla qualità della vita di una persona che è continuamente arrabbiata. In virtù di ciò mi chiedo, che tipo di relazioni interpersonali questa persona intrattiene?
A queste domande, esistono anche risposte. E lo dico con convinzione. Bisognerebbe fermarsi e fermare anche la rabbia attraverso il silenzio e l’ ascolto del sé, mettere in moto il contatto con sé stessi, quel contatto che si è perso chissà quando, ove mai ci fosse già stato. La rabbia arriva spesso, ma quando? In quali circostanze ed occasioni? E soprattutto, con quale intensità?
L’aspetto su cui bisogna soffermarsi è la nostra capacità e disponibilità nel chiedersi: come mi sento, cosa penso e come mi comporto quando sono arrabbiato. Riesco a comunicare quest’emozione, oppure la violenza, il controllo o il risentimento prendono il sopravvento? Il giudizio, il silenzio, l’intolleranza, l’interpretazione ostacolano l’occasione per liberarsi da questa emozione distruttiva, eppure essa è quotidianamente, purtroppo, la nostra compagna di viaggio tanto nella vita professionale quanto nella vita privata.
Suzana Blazevic