
Dall’8 settembre 2025, nelle sale italiane arriva finalmente “Franco Califano – Nun ve trattengo”, il docufilm che riporta alla luce una voce che non avrebbe mai dovuto spegnersi. Non è solo un film, ma un invito a fermarsi, ascoltare e ricordare un uomo che ha fatto la storia della musica italiana senza mai smettere di essere se stesso.

Franco Califano non era semplicemente un cantautore, era un poeta urbano, un osservatore lucido, capace di tradurre in versi le fragilità umane, i desideri, le illusioni. La sua penna ha regalato brani che sono entrati nell’immaginario collettivo – “Tutto il resto è noia”, “La mia libertà” – ma il suo lavoro va ben oltre. Ha scritto per Mina, Mia Martini, Ornella Vanoni e decine di altri interpreti, firmando oltre mille testi. Eppure, paradossalmente, è ricordato più per i suoi eccessi che per il talento straordinario.
Il docufilm, che purtroppo non eccelle registicamente, prova a rimettere ordine in questa narrazione: attraverso immagini d’archivio e testimonianze intime, tra cui quelle dell’amico Federico Zampaglione, la vecchia fiamma Mita Medici, gli amici di sempre e personaggi di cui si sarebbe apprezzato maggiormente la loro sostituzione con altri “califiani”, ricostruisce la vita di un uomo che non ha mai finto, che ha pagato sulla sua pelle la scelta di essere sempre sincero. Califano amava vivere senza maschere e questa autenticità lo ha reso tanto amato quanto incompreso: “vive chi vive, non chi c’è!”, citandolo.

Oggi, in un’epoca di “canzoni” usa e getta e testi che si piegano alle logiche del trend, la sua figura sembra quasi provenire da un’altra galassia. Lui non cercava like, visualizzazioni, cercava verità. Non rincorreva classifiche, ma emozioni. Scriveva con il cuore in mano, anche quando costava caro. Oggi la musica sembra fatta per durare un’estate: testi vuoti, tormentoni social, tutto immagine e zero sostanza. Bigottismo a parte, un tempo c’erano i poeti veri: Franco Califano sapeva raccontare la vita, le debolezze, l’amore con parole che non si porta via il vento. Eppure di lui si parla poco, in sordina, mentre si celebrano mode passeggere. Il panorama musicale di oggi, secondo molti esperti del settore, ha perso l’arte e ci si accontenta del rumore. Ieri erano emozioni, oggi algoritmi.
Il titolo, “Nun ve trattengo”, sembra il suo ultimo gesto di gentilezza, come a dire: “fate pure, io resto qui con le mie parole”, perché le sue parole sono ancora lì, scolpite in un patrimonio che abbiamo tutti il dovere di non dimenticare. Califano diceva che “la mia libertà è quella di sbagliare da solo” e forse è questa la chiave per capirlo: la libertà, per lui, era più importante del successo, scegliendo di vivere come scriveva e scrivere come viveva, con tutte le contraddizioni e la bellezza che questo comporta.

Il docufilm si conclude con un elegante crune up che si ferma quasi a sfiorare il paradiso, tra le indimenticabili note vocali del poeta e maestro Franco Califano. Dopo un anno di attesa, il cinema restituisce la sua voce, ma il resto… il resto, davvero, è noia.
Fonte immagini: Google,