
Ci sono gare che entusiasmano più di altre, battaglie che, se vinte, fanno esultare più della guerra, sfide che si connotano di significati infiniti, prescindendo dalla classifica o dal blasone delle formazioni presenti. Semplicemente, ci sono delle partite che ci fanno sognare e che ci catapultano indietro nel tempo. Tra queste sfide, ne rientra una in particolare: Napoli-Juventus.
Napoli-Juventus, come direbbero gli spagnoli, è “mas que un partido”. Da sempre, tale match, si è caratterizzato per le diverse “filosofie” che accomunano non solo le squadre, ma anche due popoli, due società, diametralmente opposte tra loro: quella piemontese, fiore all’occhiello dell’economia nazionale, alquanto prospera e redditizia, e quella napoletana, emblema dell’arretratezza del mezzogiorno italiano. Perciò, sin dagli anni ’50, Napoli-Juventus, è stata “etichettata” come la partita dell’anno, quella dove il popolo napoletano, poteva prevaricare, finalmente, sul popolo piemontese, guadagnandosi quella sorta di “riscatto e rispetto” sociale, negatogli, in buona sostanza, nella vita quotidiana. L’atmosfera che si creava, dapprima nel celebre stadio Collana, dove il Napoli ha giocato sino al 1959, e successivamente nell’odierno San Paolo, era sensazionale. Sembrava che non ci fossero, sul terreno di gioco, solo 11 atleti azzurri, ma tanti, tanti di più, che condividevano un unico desiderio: spingere, col loro calore, quella dannata sfera in porta. Ovviamente, col passare del tempo, tutto ciò non s’è acuito, anzi.
L’apice della rivalità è stato toccato negli anni ’80. Fino ad allora, quasi tutti i precedenti erano a favore dei bianconeri, che ultimavano il proprio campionato, sempre ai vertici della classifica, diversamente dai partenopei. Successivamente, l’ago della bilancia venne riequilibrato, grazie ad un certo, Diego Armando Maradona. Durante l’epopea “maradoniana”, il Napoli batté, più volte, la Juventus, ma due partite, ancora oggi, restano impresse, indelebili, nel cuore della gente e del Pibe de Oro. La prima, indimenticabile, è quella del 3 novembre 1985. Al San Paolo, va in scena, lo spettacolo del calcio italiano, che in un pomeriggio di campionato, opponeva due fuoriclasse sensazionali, come il Pibe de Oro e “le Roy”, Michel Platini. E’ il Napoli a costruire le occasioni più nitide, urtando più volte, contro il muro bianconero. La Juventus aspetta e si affida a qualche invenzione, del suo genio, Platini. Ad un certo punto, nell’area di rigore bianconera, viene fischiato un fallo contro la Juventus. In quell’istante, almeno 80.000, cuori napoletani, invocavano il rigore, ma l’arbitro concesse, solo, una punizione indiretta a due. La barriera era lì: era facile osservare, come non ci fosse la giusta distanza, tra il punto in cui venne posizionata la sfera ed il muro umano, formato dai difensori juventini. Un qualsiasi calciatore, avrebbe sbagliato quella punizione, che nel 99,99% dei casi, si sarebbe infranta sulla barriera. Ma lì, in quel momento, c’era un certo Diego Armando Maradona, che con un tocco soave, alzò la palla, sopra la barriera, posizionata a circa 5 metri, ed infilò Tacconi. Fu un goal divino, di rara bellezza, mai più replicato, che catapultò i napoletani in paradiso.
La seconda partita è stata, per certi versi, ancor più esaltante, della precedente. Era il 20 novembre 1988, ed il Napoli affrontava la Juventus, allo stadio Comunale di Torino. Il risultato finale fu impressionante: 3-5 per il Napoli. Una prestazione sontuosa di Maradona, Careca, Carnevale e Renica, interruppe l’imbattibilità casalinga della Juventus. Tutti, anche i sostenitori bianconeri, si alzarono in piedi ed applaudirono Maradona: Torino si arrendeva, almeno per un pomeriggio, allo strapotere azzurro che restituiva quella considerazione sociale, sancita, fino ad allora, solo sulla carta.
Oggi il calcio è cambiato: sembrano trascorse ere geologiche, rispetto a 30 anni fa, ma speriamo, che, domani sera alle 20 e 45, allo Stadio San Paolo, vada in scena un vero e proprio spettacolo che ci delizi e per cui valga la pena stare incollati dinanzi ai televisori o perdere la voce, tifando, allo stadio, proprio come, quando, in campo, c’erano questi fenomeni.