
Qualche giorno fa, più o meno a metà pomeriggio, la Corte Costituzionale ha reso nota la sentenza sul ricorso presentato da diversi enti (cinque Tribunali ordinari e l’Avvocatura generale dello Stato) contro il famigerato “Italicum”, la legge elettorale n. 52 del 2015 votata dal Parlamento Italiano nel maggio del 2015 epperò (e per fortuna?) mai applicata.
La Corte avrebbe potuto decidere prima, anche molto prima, ma ha voluto attendere il risultato del referendum del 4 dicembre scorso, con ciò evidenziando una saggia prudenza fin troppo consona al ruolo (nella foto di questo articolo, “La prudenza” di Domenico Bruschi).
Dei quattro punti fondamentali dell’Italicum, la Consulta ne ha bocciati due: quello che prevedeva il ballottaggio fra le due liste vincitrici delle elezioni ma nessuna delle due raggiungente il 40% dei voti totali, e quello che prevedeva la possibilità per i capilista presentatisi in più collegi elettorali di scegliersi, a cose fatte, il collegio preferito.
Nella sentenza, una sentenza facilmente di compromesso, la Consulta non è intervenuta sul premio di maggioranza alla lista che raggiunga il 40% dei voti, decretando però la modalità del sorteggio (“sopravvive il criterio residuale del sorteggio”, si legge nella sentenza) per assegnare il collegio definitivo ai capilista presentatisi in più territori. Considerando che i capilista, di solito, ottengono anche incarichi di governo o comunque più “alti” della sola rappresentanza in Parlamento, tale sorteggio non dovrebbe togliere il sonno ai plurieletti.
La Corte, inoltre, ha lasciato la soglia minima del 3% dei voti quale limite inderogabile per l’ingresso alla Camera delle singole liste. Uno sbarramento ragionevole, che consentirà ai partiti più piccoli di associarsi per entrare in Parlamento senza particolari problemi di numeri. Pertanto, prevedibile scenario a sinistra: i partiti di sinistra, tutti a sinistra del PD e ognuno a sinistra dell’altro, si coalizzeranno e riusciranno ad eleggere deputati; i deputati eletti, ansiosi di dimostrarsi dei veri rivoluzionari, cominceranno a litigare fra di loro il giorno precedente la prima seduta della nuova assemblea, ognuno rivendicando autonomia storica, superiorità ideologica e di metodologia operativa, fino a creare il solito casino e la solita scissione all’interno di quel 5% (a voler essere ottimisti) arruffato con un ottimo programma elettorale tutto all’insegna dell’unità e della leale collaborazione…
Con la sentenza la Corte ha inoltre detto che la legge elettorale può considerarsi finalmente fatta e pronta all’uso (“All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”), di conseguenza si può andare al voto una volta sciolto il Parlamento. Le motivazioni giuridiche della sentenza saranno pubblicate nei prossimi giorni.
Un minuto dopo la pubblicazione della sentenza, nella televisiva politicanza italiana scattava la corsa ai giudizi sulla decisione della Corte, perlopiù frettolosi perché dati senza conoscerne le motivazioni, in alcuni casi senza aver nemmeno letto le quattordici righe della sentenza.
Partiti e movimenti come la Lega Nord e il Movimento 5S insistentemente stanno chiedendo di votare il prima possibile, mostrando di prendere la palla al balzo e ribattezzando la sentenza col nomignolo, ancora insopportabilmente latinorum, di “consultellum”.
Matteo Renzi segretario del PD, in animo di feroci rivincite, con un certo anticipo ha già indicato la data delle elezioni, 11 giugno del 2017. Il Matteo ferito nell’orgoglio ha scelto il giorno della Santissima Trinità per farsi la sua vendetta, forse perché quel giorno, confidando nella sua misurata fede cattolica nonché nella smisurata fede in se stesso, vorrebbe ritrovarsi anche lui uno e trino: primo ministro, segretario del partito e una terza missione ovviamente ancora avvolta nel mistero (della fede renziana).
Altri partiti, ad esempio Forza Italia, si mostrano molto più prudenti asserendo che la legge elettorale andrebbe (ri)fatta dal Parlamento (quindi un altro paio d’anni d’attesa). Dall’alcazar di Arcore, oggi meno aperto al mondo rispetto al recente passato ma tutt’altro che dismesso, si invoca il ritorno alla legge elettorale Mattarella (“il mattarellum”), molto più per paura di scarso consenso elettorale che per reale convinzione democratica nel sistema proporzionale contenuto nel mattarellum.
Il Presidente del Senato, Piero Grasso, unitamente a Mattarella Presidente della Repubblica, insiste da tempo sull’esigenza di rendere omogenea la legge, di eliminare le disparità fra Camera e Senato. E le massime due cariche dello Stato potrebbero avere ragione, considerato che per il Senato si dovrebbe votare su base regionale e con soglia di sbarramento ancora fissata all’otto per cento. Tuttavia diversi autorevoli commentatori e studiosi fanno notare come, nella storia repubblicana, le leggi elettorali per Camera e Senato non siano mai state omogenee (cioè uguali).
Ad ogni modo, e nondimeno, bisognerebbe intervenire e sciogliere finalmente la matassa, per non cadere nella “porca” (nel senso di “porcellum”, il latinorum più ignorante di tutti) alternativa di lasciare le cose come stanno e così garantendo l’ingovernabilità. Ingovernabilità che, ormai lo abbiamo imparato fin troppo bene, si governa con i governi di coalizione…
Non bastasse la storica discordanza di cui sopra, studiosi dei flussi elettorali come il professor D’Alimonte e l’onorevole Fornaro hanno fatto notare come, nelle pieghe dei meccanismi tendenzialmente astrusi della nuova legge elettorale, se nessun partito raggiungesse il 40% dei voti (ipotesi altamente probabile) alla Camera siederebbero più onorevoli “nominati” che onorevoli eletti con il voto di preferenza: in pratica tre deputati su quattro sarebbero decisi da capi, capetti, capoccia e caporioni di partito. Una genìa politica, quella dei capipartito, che potrà avere in mano un’arma formidabile per disfarsi dell’opposizione interna e portare in Parlamento solo i fedelissimi, vecchi fedelissimi inamidati e nuovi appena acquistati, mandando sostanzialmente “altrove” la cosiddetta volontà popolare.
La sentenza della Corte Costituzionale, pur aprendo nuovi scenari, lascia irrisolte diverse questioni, che dovranno essere affrontate dalla classe politica. Operazione non poco preoccupante, stante la qualità “non eccelsa” della classe politica attuale e stante il tripolarismo di fatto dello scenario politico/elettorale italiano. Siamo politicamente tripolari, tendenti all’assoluta schizofrenia.