

La complessa vicenda dei presunti rapporti tra la società di calcio Juventus Football Club e la ‘ndrangheta ci riguarda tutti e solleva questioni molto più generali. La tesi dell’accusa è che la società bianconera, tramite alcuni dirigenti, abbia venduto in blocco biglietti per le partite casalinghe ad alcuni esponenti della criminalità organizzata che, a loro volta, li hanno rivenduti con pratiche di bagarinaggio.
Ma la vicenda è quindi molto delicata, in quanto presenta ancora cose che sono del tutto oscure agli addetti ai lavori, come le infiltrazioni mafiose nelle curve italiane (quindi non solo gli ultras della Juventus) e perché coinvolge lo sport più seguito in Italia e la squadra contemporaneamente più tifata ed odiata.
E’ quindi una storia di rapporti al limite, di calcio e contaminazioni. Parla della Juve. Ma potrebbe tranquillamente parlare di altre società. Da una parte abbiamo i tifosi juventini e dall’altra tutti gli altri, questo è esattamente il momento in cui qualsiasi ragionamento finisce in secondo piano rispetto alla questione tifo.
A questo punto bisogna ricordare due cose: la prima è che nella giustizia sportiva il dovere della prova è dell’accusato e quindi in questo caso devono essere Agnelli e la Juve a dimostrare la loro innocenza e non la Procura la validità delle accuse; la seconda è che la Juventus ha già scartato l’ipotesi di un patteggiamento, questo perché non è la violazione della norma sui biglietti il problema principale che comunque ha la sua gravità, quanto i rapporti di Andrea Agnelli con la Curva e quelli presunti con esponenti della ‘ndrangheta, in particolare con Rocco Dominello (esponente principale della cosca mafiosa insediatasi in Piemonte).
Se tutto ciò risulta essere vero, e per la Juve non lo è, le accuse sono un’ingiuria da lavare, e quindi il patteggiamento sarebbe un’ammissione di colpa. La società, almeno da questo punto di vista, vuole uscirne pulita, dichiarando che il Presidente era inconsapevole di avere a che fare con esponenti della cosca.
Ora, mettendo un attimo il tifo da parte è evidente che l’argomento è serio, e che è giusto andare quanto più a fondo possibile perché in quella Curva (e poi, a cascata, nelle altre) c’è qualcosa che non va.
Alla fine questa storia sembra confermare l’impressione che il sistema calcio italiano si pensi quasi come una Repubblica a parte, indipendente, o quasi, dalle leggi dello Stato. In questo contesto si inseriscono le irresponsabili dichiarazioni di Michele Uva, direttore generale della Figc: “Sulla vicenda-biglietti, che coinvolge la Juve, non siamo preoccupati: noi dobbiamo occuparci della giustizia sportiva. Però, mi sembra si stia facendo un processo mediatico; occorre che la giustizia ordinaria faccia il proprio corso con la massima serenità. Mi sembra che l’Antimafia stia facendo un processo molto mediatico e questo non fa bene nè al calcio, nè tantomeno all’Italia. Il calcio dà esposizione mediatica e sta avvenendo in questo momento”.
Ogni problema, se sottovalutato, rischia di ingigantirsi e arrivare alla negazione rischierebbe di essere ancora peggio. L’inchiesta “Alto Piemonte” e il suo filone che conduce fino al calcio può essere invece un’occasione irripetibile per ammettere quello che si fa finta non esista: per iniziare a rendersi conto, finalmente di quante infiltrazioni criminali infestano il mondo del pallone, sfruttando la passione di tanti altri che sono ultras per amore.