
Presso la Biblioteca di San Lorenzo Maggiore a Napoli, si è tenuto in questi giorni, un fantomatico processo alle intenzioni. L’imputato? La digitalizzazione dei beni culturali (Clicca qui per il video completo). Il tribunale, istituito ad hoc per l’occasione, ha visto il Prof. Carlo Federici (Università Ca’ Foscari Venezia), nelle vesti del Pubblico Ministero, contrapporsi alla difesa della Prof. essa Agnese Galeffi (Biblioteca Apostolica Romana) e del Dott. Paolo Franzese (sovrintendete) il tutto sotto l’occhio vigile del Presidente Luigi Arrigò (Associazione San Bonaventura).
Ad aprire il dibattito c’ha pensato il prof. Carlo Federici il quale, in venti minuti, in uno sciabordio di parole ben congeniate, ha illustrato come la digitalizzazione dei beni culturali, ovvero, il processo attraverso cui un documento antico viene trasformato in un file digitale (Digits) abbia ancora delle ciriticità. “L’ambiente informatico” ha dichiarato Federici “si contraddistingue da sempre per la rapida obsolescenza non solo delle macchine, ma anche di quegli algoritmi di creazione e ripristino delle serie numeriche che rappresentano la base della digitalizzazione“. Affonda poi, quasi con taglio chirurgico, sul tema dei beni culturali citando la definizione di bene culturale, ovvero: “bene materiale e non immateriale”.

Ha risposto allora la difesa, con la prof.essa Agnese Galeffi, la quale ha mostrato un video di un concerto di Maria Callas (avvenuto nel 1965 ndr). “Il grande vantaggio della tecnologia è proprio quello delle esperienze che molti ormai non potrebbero fare” ha argomentato la prof.ssa sottolineando come lei, essendo nata molto più tardi, senza l’ausilio della tecnologia, avrebbe perso l’esperienza meravigliosa di ascoltare Maria Callas.
“Ma qual è la materia del bene culturale?” ha chiesto alla giuria in modo retorico, già perché secondo la sua tesi la materia dei beni cultura è “L’ emozione che suscita quel dato bene“.
Un po come affermava il filosofo greco Protagora dicendo: “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in
quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono“. In sostanza, è da ritenersi bene culturale ciò che suscita un’emozione.
Ha concluso poi l’altro avvocato della difesa, il prof. Paolo Franzese, che nei suoi dieci minuti, ha sottolineato come alcuni archivi, come quelli del Banco di Napoli, a causa della scarsa manutenzione, versi in cattive condizioni

e come sia facile perdere documenti importanti a causa di questa incuria. Secondo quindi Franzese, la digitalizzazione, dev’essere il modello da seguire nei prossimi anni per tutelare quelle opere che vengono scarsamente curate e mal custodite.
Infine, c’ha pensato la giuria a placare ogni contesa sentenziando cosi: “Questa giuria ritiene che la gestione dei documenti debba essere informatizzata secondo i requisiti definiti. Creando strutture responsabili affidate a personale tecnicamente qualificato“.
Difatti quindi, l’informatizzazione sembra essere la strada più sicura e meno dispendiosa per far si che documenti antichi e opere d’arte vengano custodite, ciò nonostante però, le criticità rimangono ed il rischio di perdere l’opera d’arte in formato digitale, c’è ancora.