[dropcap]”[/dropcap]I dati sull’arsenico nell’acqua in alcuni comuni del Lazio se da un lato sono un’indicazione netta della necessità di intervento a vari livelli, a partire dalla dearsenificazione delle acque che è stata già avviata e che deve essere completata entro l’anno per rientrare nei limiti stabiliti dall’UE, dall’altro non devono essere interpretati come un’indicazione di rischio immediato e indifferenziato per le popolazioni residenti”.
Lo dichiara l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) in merito allo studio trattato sull’esposizione alimentare ad arsenico nelle popolazioni site in alcune aree di carattere vulcanico del Lazio (province di Viterbo, Roma e Latina). “Non esiste una versione completa delle analisi – precisa l’Iss in una nota diramata al pubblico – poiché le elaborazioni sono ancora in corso”. L’ analisi, denota l’Iss, “ha rilevato livelli di arsenico doppi rispetto a quelli della popolazione generale. Si tratta di un dato in linea con i risultati del monitoraggio da tempo effettuato dall’ISS in quelle zone”. Inoltre, la ricerca, “è uno studio di esposizione, che valuta le concentrazioni di arsenico in un campione di popolazione e nella dieta. I suoi risultati danno informazioni importanti che concorrono alla valutazione e gestione del rischio, ma non consentono, da soli, di delineare un quadro definitivo, per ottenere il quale servono studi epidemiologici che partendo dai dati siano in grado di legare queste ad eventuali incrementi di patologie”.
Per quanto riguarda la questione del passaggio dell’ arsenico nella catena alimentare, l’Iss rende noto che “nessuno dei dati relativi alla presenza di eccesso di questo elemento negli alimenti, come ad esempio nel pane, può tradursi automaticamente nella possibilità di incremento di patologie umane” ma “segnala, tuttavia, la necessità di ulteriori approfondimenti anche in questa direzione”.
Vincenzo Nigri