[dropcap]P[/dropcap]ienamente consapevole del fatto che affrontando questo argomento mi troverò di fronte alle dure critiche, spero almeno che ce ne siano di costruttive e propositive, accompagnate, possibilmente da personali esperienze.
Mi sono proposta di abbracciare alcuni quesiti che spesso non vengono presi in considerazione né valutati dal pensiero comune, indipendentemente si tratti di un giovane in ricerca di un suo primo lavoro o di un “nuovo disoccupato”.
Qualche anno fa, mio figlio, non ancora maggiorenne, mi informava della sua preoccupazione ed angoscia per il proprio futuro lavorativo. Voglio essere trasparente con i miei lettori, quindi non vi nascondo di essere stata pervasa da uno stato di notevole irritabilità dovuto alla percezione di non essere stata in grado di rendere mio figlio immune da condizionamenti dei mass-media alimentati e sostenuti da politiche scoraggianti.
In effetti, per l’ennesima volta, mi ero resa conto di quanto il sistema e le dinamiche socio culturali lavorino con insistenza e con un risultato invidiabile nell’ instaurare paura e dipendenza dal pensiero negativo, soprattutto nei soggetti giovani, privi ancora di una solida struttura e di un proprio pensiero critico, ciò proprio in contrasto col counseling che lavora sull’ autonomia di pensiero e di conseguenza della persona. [divider]
Mentre spesso prende il sopravvento l’atteggiamento comune, rivolto solo alla nevrotica efficienza, alle richieste di ricette e soluzioni per ogni campo e di ogni tipo, ti propongo e ti rivolgo, caro lettore, alcune domande come spunti e, perché no, spuntini di riflessione.
Cosa significa per te lavoro e lavorare? Rappresenta davvero l’appagamento e la realizzazione della tua esistenza oppure il cosa ed il come lo fai, c’entra in qualche maniera?
Quanto puoi essere soddisfatto, pur sapendo che quello che pensi e fai è privo di senso di responsabilità, di serietà e di coscienza?
E’ probabile che tu, neo-diplomato o neo-laureto, stia cercando lavoro esclusivamente nella tua città o regione, in una professione, che non avresti mai scelto tu, ma l’hanno fatto i tuoi genitori?
Quanto e cosa sei disposto a “perdere” di tutto ciò che ti è noto per avviarti verso l’ignoto?
Cerchi il denaro o il senso, anche in termini di un’esperienza nuova, ma lontana dalla tua quotidianità nel focolare familiare?
In attesa di risposte pensa: ogni volta si perde tempo nel decidere, si perde spesso l’occasione favorevole del fare.
Suzana Blazevic