Un toccante documentario sulla vita di africani in Italia è Non è un paese per neri, diretto da Armando Andria, Luca Romano, Mario Leombruno e Francesco Amodeo, che racconta la strage dei sei ragazzi di colore del 18 settembre 2008 a Castel Volturno, in provincia di Caserta, per opera del clan di Giuseppe Setola, andando a ritroso negli anni, fino al 1989, quando a Villa Literno era stato consumato un altro delitto per razzismo, e cioè l’omicidio del sudafricano Jerry Masslo.[divider]Il 3 ottobre 2013, a poche miglia da Lampedusa, un’imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti naufraga, causando 366 morti accertati e circa 20 dispersi presunti, numeri che la pongono come la più grave catastrofe marittima nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. I superstiti salvati sono 155, di cui 41 minori (uno solo accompagnato dalla famiglia). Dopo una sola settimana, l’11 ottobre, si è verificato un altro naufragio, che ha causato più di 30 morti. Così come l’omicidio di Jerry Masslo, a seguito del quale si riconobbe agli stranieri extracomunitari lo stato di rifugiato, eliminando così la limitazione geografica per i richiedenti asilo, la tragedia di Lampedusa ha in parte smosso le coscienze, e si è aperto il dibattito sulla legge “Bossi-Fini”, che in Italia regola le politiche migratorie e occupazionali per gli stranieri, e che stabilisce, per quanto riguarda, per esempio, gli ingressi, che può entrare in Italia solo chi è già in possesso di un contratto di lavoro che gli consenta il mantenimento economico. Solo relativamente all’ingresso e al soggiorno clandestino, il 9 ottobre 2013 viene approvata in Senato la proposta del Movimento 5 Stelle di abolizione del reato di clandestinità: restano però in piedi tutti i procedimenti per l’espulsione e tutte le altre fattispecie di reato compresi dalla Bossi-Fini. Un punto particolarmente controverso e che ha dato adito a discussioni è quello dei respingimenti: la Bossi-Fini ammette i respingimenti al paese di origine in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra l’Italia e altri paesi, che impegnano le polizie a cooperare per prevenire l’immigrazione clandestina. L’identificazione degli aventi diritto all’asilo politico o a prestazioni di cure mediche e assistenza deve quindi avvenire direttamente in mare. Per questo motivo spesso i migranti si buttano in mare dai barconi provando ad arrivare a riva a nuoto. La discussione è stata alimentata dal fatto che tra i migranti a bordo delle barche intercettate potrebbero esserci profughi in cerca di protezione internazionale e il respingimento senza prima una verifica attenta (che spesso non avviene) viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui gli stati non possono rinviare i rifugiati in paesi dove questi sono perseguitati e rischiano la vita. L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha dunque definito “sbagliate o controproducenti” le misure prese in questi ultimi anni dall’Italia per gestire i flussi migratori. Recentemente si è cercato di fare un passo avanti con la stesura della Carta di Lampedusa, qui è possibile trovare il testo integrale, per la quale dal 31 gennaio al 2 febbraio si sono riunite sull’isola circa trecento persone che si battono per i diritti dei migranti, provenienti da paesi diversi, e che si fonda sul riconoscimento che tutti in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso. A lanciare l’idea della Carta è stata l’associazione Melting Pot Europa e i lavori si sono svolti in un locale dell’aeroporto di Lampedusa. Venerdì sono intervenuti gli abitanti dell’isola: il sindaco Giusi Nicolini, i rappresentanti dei pescatori, degli imprenditori, degli studenti liceali e alcune donne, il giorno seguente è stato dedicato al dibattito e alla stesura collettiva della versione finale della Carta e domenica è stato dato spazio alle proposte di possibili applicazioni pratiche di questo documento.[divider] Ma la strada dall’immigrazione all’integrazione è ancora lunga e tortuosa: giorni fa, infatti, in Svizzera poco più della metà dei cittadini ha votato sì al referendum che impone un tetto all’immigrazione. La Commissione europea dichiara che la decisione “va contro il principio della libertà di movimento delle persone nell’Ue e in Svizzera”, come ha detto il portavoce Olivier Bailly. La Svizzera ha tre anni per rendere legge la decisione del popolo, e se deciderà di farlo, la Commissione europea si regolerà di conseguenza. Ma al di là delle discussioni e dei ragionamenti della civiltà occidentale, le sensazioni più forti ci vengono regalate dai racconti di chi immigrato lo è stato, di chi immigrato lo è. Tratto da “Il tempo dalla mia parte”, di Mohammed Ba:
“ – L’uomo è il rimedio dell’uomo, – dice sputando rosso.
Non se n’è salvato uno. Quando la Guardia Costiera ha trovato il barcone con gli ultimi cadaveri, qualcuno si è fatto il segno della croce.
Tutto intorno a me, il vento fresco porta sollievo. Vento carico di odori, di profumi, di aliti. Lampedusa non è casa vostra, il mare nemmeno. Io sono qua, a prestarvi il mio volto. Non posso accettare che moriate doppiamente. Anche voi dovete prendere parte a quel battito ritmato che riunisce tutti i popoli.
In mezzo ai vostri stracci ritrovo quel che cercavo. Lembi di pelle e un tronco d’albero curvo, fili di nylon e una bacchetta. È quel che resta del mio, del nostro e vostro tamburo. Presto!
Ci sono, siamo tutti insieme ora che voi avete perso la vita. Di voi nessuno ha ricordo tranne il mare. Acqua foste al principio e acqua siete tornati alla fine.
Raccolgo ciò che rimane di voi e me lo porto dentro.
Vi ringrazio cari fratelli, perché è nel vostro sangue che celebreremo l’unità dei popoli.”[divider]