
31 maggio 2021 Corte d’Appello di Milano: Giovanni Brusca lascia il carcere dopo aver scontato 25 anni di reclusione, rimane sottoposto a 4 anni di libertà vigilata.
31 maggio 2025, Brusca è un uomo libero. Indignazione, dolore e innumerevoli dubbi…
Brusca è l’ex boss di Cosa Nostra, noto per aver azionato il telecomando che fece esplodere l’auto su cui viaggiava il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie, il magistrato Francesca Morvillo. In questa strage trovarono la morte anche gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Brusca, nato a San Giuseppe Jato, il 20 febbraio 1957, non è un mafioso qualunque. Nell’ambiente criminale viene soprannominato “lo scannacristiani” e “‘u verru”, “il porco”, per la sua efferata spietatezza. Oltre alla strage di Capaci, il mafioso “vanta” un curriculum nero di “alto livello”, perchè responsabile dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio e anima innocente del pentito Santino, sciolto nell’acido dopo mesi di prigionia e torture psicofisiche. Brusca,150 /200 omicidi portano la sua firma, eppure oggi è libero.
Il mafioso jatino è libero grazie a quel giudice, simbolo della lotta alla mafia, che lui stesso ha ucciso. Falcone, all’epoca direttore generale degli affari penali del Ministero della Giustizia, riteneva che soltanto applicando premio, ossia uno sconto di pena, un boss poteva decidere di collaborare con la giustizia, scardinando così quel muro di silenzio che ha consentito di scoprire nuove organizzazioni.
Potrebbe apparire paradossale: l’assassino premiato dalla vittima. Sicuramente, parlarne in questi termini semplicistici, rischia di uccidere Giovanni Falcone ancora una volta. Ma l’opinione pubblica si spacca in due: è “giusto” ciò che è conforme alla legge, anche se appare moralmente insostenibile?
‘U verru ha collaborato, ha contribuito all’arresto di decine di mafiosi e ha sbrogliato quella matassa di centinaia di crimini. Senza il suo contributo, molte verità si sarebbero “sciolte nell’acido” e perse per sempre. Ma il suo pentimento, per molti, è solo funzionale, una scelta calcolata per tirare l’acqua al proprio mulino, più che etica. È dunque sufficiente dire la verità per estinguere un debito macchiato di sangue?
I familiari delle vittime si sono divisi. Maria Falcone, sorella del Falcone giudice, non nega il dolore, ma ricorda che la legge è giusta e va rispettata, perché “lo Stato deve essere più forte delle emozioni”… ma fino a che punto? Altri invece, come il fratello di Giuseppe Di Matteo, parlano di una giustizia tradita, che ha dato un messaggio devastante: anche chi ha toccato il fondo dell’orrore può riemergere in superficie… anche se forse, nonostante tutto, per qualcuno, sarebbe meglio guardarla dal basso.

La società, di fronte a questo caso, riflette sul significato stesso della parola “giustizia”. È dunque punizione o rieducazione? È vendetta o prevenzione? Il diritto, quando affronta crimini così profondi, cammina a piedi nudi su una fila sottile di mattoncini Lego, e la legge, anche se voluta da chi fu ucciso, non riesce a cancellare il sentimento umano di ribellione e frustrazione.
La scarcerazione di Giovanni Brusca, ‘u verru, è come un fiore germogliato tra grigie rovine; è il segno che la legge funziona ma non cancella le macerie intorno. E’ sbocciato sì un fiore, ma rosso sangue.

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