
In occasione della 78ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica, nella giornata di martedì 7 settembre, un padre che è un gigante e un divoratore (parola di Mario Martone, regista di “Qui rido io“, film dedicato alla figura di Eduardo Scarpetta) e un padre che incarna una figura mitica con cui il figlio finirà per doversi misurare.
A divorare, nel caso, di “Old Henry”, fuori concorso, sono i maiali che padre e figlio allevano nella loro fattoria nel Tennessee, così grandi che il regista, piuttosto avvezzo al magico mondo del western, ha deciso di cambiare la sceneggiatura e dar loro credibilmente in pasto un tipaccio che in fondo se l’era meritato.
“La grandezza di Eduardo Scarpetta e la grandeur di Napoli di fine secolo, una commedia con al centro un personaggio titanico che per me rappresentava l’occasione di lavorare con Toni”, questo per Mario Martone è “Qui rido io“, film che ruota intorno a Toni Servillo quasi fosse un perno.

Lavorando al “Sindaco del Rione Sanità“, (celebre film del 2019 tratto dall’omonima opera di Eduardo De Filippo) il regista napoletano ha iniziato a riflettere sulla questione della paternità negata: in “Qui rido io” il padre, o per meglio dire il patriarca è il mattatore Eduardo Scarpetta, “una figura mitologica, un uomo che aveva figli con la moglie, la sorella della moglie, la nipote della moglie, che faceva studiare tutti, maschi e femmine indistintamente, e che tutti trasformava in attori”.
Il film si apre con un’immagine di Napoli dei fratelli Lumière del 1895, come spiegato dal regista insieme alla compagna nonché co-sceneggiatrice del film stesso; Martone ha voluto esplorare “Il mistero di Scarpetta, un mistero che conteneva tante cose: la forza creativa di una città come Napoli dove a fine ‘800 confluivano cinema, teatro, canzoni, dove si cominciava a respirare aria di cambiamento. E, come ogni artista che, invecchiando, riconosce il proprio genio superato dagli allievi, anche Scarpetta cominciava a vedere l’ombra accanto alla luce in cui aveva brillato fino a quel momento: Scarpetta divora Pulcinella, divora la vita e il teatro e a questa tribù di figli, tra cui i tre fratelli De Filippo che non verranno mai riconosciuti e non riceveranno mai l’eredità materiale, trasmette il seme potentissimo della creatività e del suo genio”.
Sul Lido di Venezia approda anche il western di Posty Ponciroli. E che, come spiegato da Tim Blake Nelson, protagonista e produttore, “Presenta due persone che vivono in isolamento in una fattoria dove il padre cerca di proteggere il figlio dalle minacce del mondo esterno. Il primo western della storia fu girato nel 1899 da un britannico“.
A tal proposito l’attore lo definisce un “Micro-western” in cui la grandiosità tipica del genere dei grandi spazi e dei grandi formati si congiunge ad una storia intima. Ed era micro anche il budget, aggiunge il regista. Giunto in conferenza stampa con un cappello da cowboy.
Girato in Tennessee, “Old Henry” è un “green western“, stando alla definizione di Walter Hill. In una fattoria isolata vivono due uomini. Non c’è alcuna donna nel cast, la moglie di Henry è stata sepolta dieci anni prima. Un terzo uomo arriva preceduto dal cavallo scosso, ha una pallottola in corpo e una borsa piena di soldi. Old Henry che avrebbe desiderato solo una vita tranquilla, dovrà fare scelte decisive e rimettere mano alla pistola.
È la contrapposizione di individualismo e collettivismo. Parla di un Paese giovane, di un mondo nuovo, la cui nascita è associata all’industria delle armi da fuoco. Ed è un genere binario, che riflette ciò che ultimamente sta accadendo negli Stati Uniti.
Il regista: “Tutti i film a modo loro sono western, anche “Guerre stellari” lo è. Non c’è spazio per le sfumature e non puoi chiamare la polizia se hai un problema. Il West è un posto dove devi imparare a cavartela da solo, è un posto pericoloso. Ed è quel genere di pericolo su cui è facile fare romanticismo”.