
“LEGO, COME RICOSTRUIRAI CIÒ CHE SHELL DISTRUGGE? SHELL USA LEGO PER RIPULIRE IL SUO MARCHIO DALLE TRIVELLE IN ARTICO. CHIEDI A LEGO DI CHIUDERE CON SHELL. FIRMA E CONDIVIDI”
Questo il messaggio/petizione che Greenpeace già da luglio ha pubblicato sul suo sito e sta facendo girare nel web, affondo comunicativo della sua campagna di opinione contro il colosso danese delle costruzioni per bambini e contro quello multinazionale (nato olandese) del petrolio e del gas naturale. Al messaggio scritto in tutte le lingue del mondo gli ecologisti di Greenpeace hanno in seguito aggiunto un video denuncia su “youtube” particolarmente patetico ed emozionale, in cui un paesaggio artico fatto di mattoncini “lego” viene progressivamente e velocemente sommerso da melma nera (petrolio) fino a ingoiare umani, animali e cose, tranne una cosa, una bandiera della Shell, che resta a “sventolare” rigida e indifferente al disastro. Bandiera Shell che abbiamo scoperto vorrebbe rappresentare una conchiglia gialla su sfondo rosso, sebbene a noi abbia sempre e blasfemamente ricordato il sol dell’avvenire…Ad ogni modo, il video di Greenpeace è una plumbea visione di scenari che i suoi creativi sanno ben rappresentare quando vogliono colpire al cuore gli spettatori (o “visualizzatori”) e al cuore pure il marketing degli avversari, distruggendone l’immagine patinata. “Lego: Everything is not awesome” è il titolo del video, (mal) traducibile in “Lego: tutto ciò non è fantastico”. Ben traducibili sono invece le parole a corredo delle immagini con l’accusa di stare “avvelenando l’immaginazione dei nostri bambini”, accusa che alla Lego deve aver fatto più male della concorrenza dei video-games più realistici della realtà. Oltre un milione gli ambientalisti da poltrona (fra cui chi scrive) che hanno firmato la petizione e più di cinque milioni (ma c’è che dice nove milioni!) gli internauti che hanno cliccato il video.
La collaborazione strumentale fra Shell e Lego (che dovrebbe scriversi LEGO, ma noi non siamo rispettosi della burocrazia dei brevetti) risale agli anni ’70, quando le due aziende decisero di unire gli sforzi e i marchi per conquistare i rispettivi mercati, sancendo un patto commerciale che prevedeva, fra le politiche visibili, la pubblicità della Lego nei distributori Shell (pupazzetti “lego” regalati sulla benzina) e quella della Shell nei giochi Lego (“Shell” sono tutti i distributori di carburante delle città “cubiste” della Lego); fra le politiche non visibili, la Lego avrebbe potuto acquistare la plastica (che è derivato del petrolio) a buon mercato e la Shell avrebbe potuto edulcorare la sua immagine pubblica associandola al più pedagogico dei giochi per anime candide. Inoltre, in quanto incalliti rimestatori nel torbido, noi ricordiamo che nel 2003, quindi non tantissimi anni fa, la Lego ha dichiarato un passivo di bilancio di 188 milioni di euro, dicendosi costretta a licenziare mille dipendenti e mantenendo la parola. Negli anni immediatamente successivi al 2003 nuovi presidenti e nuove strategie commerciali non hanno migliorato la situazione finanziaria della ditta che però, come per magia, sarebbe decisamente migliorata intorno al 2008/2009, in (già) piena crisi finanziaria planetaria ma pure in (già) piena nuova sinergia ludico/petrolifera. Poi gli accordi più recenti, soprattutto l’ultimo siglato nel 2011, avranno previsto altre politiche di profitto che alla stampa non è dato conoscere, e probabilmente neppure agli agenti delle tasse…
Quei rompiscatole di “Paceverde” ce l’hanno con Shell per via delle trivellazioni al Polo Nord che la Reale Compagnia Petrolifera Olandese (nome più antico ed altisonante della Shell) sta facendo da molti anni, anche dopo la deriva della sua nave da trasporto carburante “Kulluk” alla fine del 2012 nel mar dell’Alaska, fatto su cui non è stata fatta piena luce in merito alle conseguenze del naufragio “chimico” sull’ambiente marino; i capoccia della Reale (Multinazional Colonialista) Olandese, governatori dalla notevole faccia tosta, non solo da due anni minimizzano i danni prodotti dall’incagliamento della nave (una vecchia bagnarola, secondo alcuni ingegneri “green”), ma frattanto hanno anche presentato al governo statunitense nuovi piani per perforare i fondali marini dell’isola di proprietà yankee. “The last frontier” (l’ultima frontiera, soprannome dell’Alaska) sta diventando davvero l’ultima frontiera della insensibile ricerca di oro nero e di altro incolore da parte dei cercatori (nominalmente) olandesi, ma anche su tali aspirazioni i verdi rompiscatole pacifisti non mollano la presa. Ora, pur non volendo corroborare la nostra (e magari pure vostra) fama di ambientalisti da poltrona, pur non volendo credere alla favola di un mondo tecnicamente progredito senza più l’ausilio del petrolio, pur non volendo per forza sostenere la teoria dei cambiamenti climatici indotti dall’umana mano, pur non volendo rinunciare all’automobile per andare al lavoro o alla partita (anche perché, in Campania, altro mezzo è difficile trovare), pur non volendo atteggiarci a esperti della materia, noi riteniamo che forse sarebbe il caso di moderare le costosissime opere di craterizzazione nel mare e nella terra alla ricerca di petrolio, per passare a politiche (transnazionali) più decise di studio e di produzione di energie alternative, da utilizzare pienamente almeno per le attività non industriali. Certo, chi glielo va a dire ai cinesi di arginare l’abuso di petrolio quando per centocinquanta anni (prima degli ultimi venti) loro non hanno inquinato nulla mentre l’Europa e l’America ricca andavano a carbone e petrolio senza freni? Però anche sul punto si potrebbe studiare una strategia, forse basterebbe iniziassimo noi a fare energia alternativa, tanto poi i cinesi ci copierebbero…
Tornando al nostro argomento principale, il tam-tam scatenato da Greenpeace, che come Shell ha sede storica in Olanda (per questo conosce così bene il nemico), ha infine obbligato la Lego, dopo qualche mese di tattica attesa degli eventi, a fare un passo indietro, o meglio, a non fare altri passi. Infatti qualche giorno fa l’amministratore delegato dei giocattolai danesi, tale Jorgen Vig Knudstorp, se ne’è uscito con un comunicato ufficiale di chiara impostazione democristiana sul quotidiano danese “Politiken” (evidentemente anche nelle facoltà danesi di comunicazione si studia il “la grande lingua italiana governativa del XX secolo”, da cui fra gli altri il “cossighiano prima maniera”, “l’andreottiano, il “demitiano” e, per parte padronale, il “gianniagnelliano”), in cui il moderato scandinavo dichiara che l’azienda non rinnoverà il contratto di collaborazione con la Shell siglato nel 2011, epperò senza specificare la durata di questo contratto definito “solo” di lungo termine sebbene specificando l’abitudine dell’azienda di rispettare la naturale scadenza dei contratti. Come dire faccio e non faccio, sono dalla vostra parte ma non contro i vostri nemici e così confondendo. Tuttavia, nel discorsetto di Jorgen Vig capo della Premiata Falegnameria Danese, occhi avvezzi all’italico linguaggio “politiken” possono leggere fra le pieghe delle precisazioni dovute e della rivendicazione di attività fatte a favore dei bambini (refrain di tutti quelli che, con i minori campandoci altresì speculandoci, hanno sempre la scusa pronta…Riflessione dell’autore nelle vesti di altro lavoro svolto) lo scazzo del dirigente d’azienda che, neanche tanto velatamente (sempre per gli occhi avvezzi), dice di essere obbligato a dire quello che dice ma tutto sommato di non recedere dai suoi precedenti convincimenti sulla bontà dell’accoppiata Lego/Shell unite verso la vittoria. Sembrerebbe quasi che Jorgen Vig voglia dire: “Fanaticissimi quattro ambientalisti del rødkal (ovvero del cavolo rosso) e soprattutto milioni di loro seguaci, vi faccio questa promessa perché mi avete talmente rotto il marketing che non posso farne a meno, però sappiate che a me vichingo di casa a Billund nella regione di Syddanmark dove è sempre notte per sei mesi all’anno della protezione dell’Artico non può romanamente fregarmene di meno, e che comunque ci avete messi in mezzo a una questione che non riguarda le corna nostre bensì quelle di un nostro alleato. Quindi paghiamo anche noi per il casino creato da voi fanatici fra i nostri migliori azionisti!”…E stando alle indiscrezioni il prezzo da pagare non sarà basso, forse cento milioni di euro, quelli che i malfamati petrolieri olandesi non daranno più ai buoni falegnami danesi in cambio della piallatura e pulitura d’anima. E l’anima, mai come in questo caso, è proprio quella del commercio.