

Philipp Loehle al Bellini il 22 gennaio pone con il suo “Gospodin” dei quesiti più che dare risposte: Come sentirsi liberi in un mondo che ti incatena al “sistema” con i “sistemi”?
Come si conquista la libertà di scegliere attimo per attimo come condurre la propria vita?
Scegliendo di non essere un ingranaggio del sistema stesso: questa la scelta di Gospodin.
Ma i sistemi sono in agguato; anche quelli con intenti benefici come Greenpeace che gli requisisce il lama che “accoglieva” in casa e passeggiava per la città, sbarcando il lunario.
Non è ammissibile vivere con un lama in città; ma è ammissibile tenerlo allo zoo, rinchiuso, in quella stessa città.
La sua casa, dotata del minimo indispensabile; le sue relazioni, fidanzata- amico- madre vivono della costante intenzione degli altri di imporre a Gospodin la propria visione del mondo: sposarsi – avere figli – “costruirsi un’autonomia” attraverso oggetti, viaggi e lavoro; tutto ciò che per lui è superfluo.
Così superfluo che si fa “togliere” uno a uno i mobili della sua già spartanissima casa dall’ex-fidanzata, dall’amico per una improbabile installazione artistica dal titolo “Tempus fuckit!” per un successo di effimera portata. Tutti vogliono entrare nel meccanismo del sistema che dà emozioni, sentimenti e gesti superflui.
Gospodin, che con il lama passeggiava per la città godendone gli spazi e le carezze dei bambini all’animale, improbabile e fantastico, corre per quelle strade e vede ancora…si fa beffe dell’“arte dell’acquistare di tutto di più” in un supermercato andandosene via e abbandonando il carrello. Si fa beffe dei soldi. Ma i soldi gli “entrano” in casa.
Un conoscente lo considera “idoneo” per nascondere della refurtiva in casa sua. Ed ecco che la fidanzata ritorna, l’amico ritorna, la madre ritorna.
Ognuno di loro ne ha bisogno per realizzare i propri sogni, inculcati.
Gospodin, semplicemente, risponde “non posso, proprio perché strisci ai miei piedi” e “non li ho”, svelando l’inganno: nessuno ha niente e men che meno il denaro.
Verrà arrestato e in prigione realizza, lui, inaspettatamente, il suo intento: la libertà.
Lì dove i limiti sono mura spesse, dove il letto pur non appartenendogli è suo, dove può decidere di prender aria e andare in cortile. Lì c’è semplicità, lì c’è rigore di vita, forse una comunità: non c’è da scegliere.
La scelta è unica; quella interiore: vivere sapendo di vivere per sé.