
Photo credits: Khaled Al Sabbah
Gaza. Ieri, oggi e domani. Gaza non è solo bombe, feriti, morti. Ma io prima la conoscevo così, una ferita sanguinante e aperta sull’Europa. Purtroppo, è vero, si tratta di uno stillicidio umanitario, ripetuto, arido e mortifero, ma anche lì c’è molto altro. Prima non lo sapevo, o perlomeno, ignoravo. A volte, quando accendo la televisione e subisco le martellate di Del Debbio – che ogni tanto fanno pure bene – l’ossessiva e indubbia logica di marketing delle pubblicità che ormai hanno invaso pure youtube, quella irrefrenabile populista di Barbara D’Urso parlare degli ultimi pargoletti di Belen o delle tendenze lanciate dalla figlia di Totti, io me lo ricordo, come tutti dovrebbero fare: innanzitutto mi ricordo, come faccio spesso, che Gaza esiste. Posta agli antipodi dell’utilitarismo occidentale. Mi ripeto che esiste una Gaza diversa. Non me lo spiego, ma mi sono interrogata spesso su questo automatismo: la frivolezza occidentale mi porta con il pensiero in Palestina. Come una sorella maggiore, una giovane madre pensa ai suoi piccoli, una persona che cerca la verità di un luogo non può che scattare una fotografia. Gaza si mostra in mille volti, colori e note. Gaza non è solo guerra. Gaza è una meraviglia che ignoriamo di vedere. E allora comprendo, eccome, l’amore dei palestinesi per la propria terra, lo abbraccio.Non è si tratta di pietà né buonismo, il mio è un pensiero fisso ma altalenante che tocca la mia mente, le mie giornate: Gaza è vita. Questo, grazie agli scatti del giovane fotoreporter Khaled Al Sabbah. Molte sono foto di violenza, visi pieni di dolore, di feriti, la maggior parte bambini e donne, e anime che lasciano questa terra.
Allegra, ribelle, danzante, fiera, nivea, tenebrosa, lieve, poetica, orgogliosa, educata, contraddittoria, combattiva, di una feroce ottenebrante bellezza, rivelatrice di un candore, di quella chiara luce che fa pensare ai coralli. Questa è Gaza.
La storia, come dice Vico, si ripete sempre, ciclica e inguaribile. Così come quella dei partigiani che lottarono per l’Italia nel ’43, i ragazzi che vivono il dramma della guerra in Palestina si vedranno pubblicati e raccontati sui libri di storia dei miei figli, è probabile. Ma cosa importa, se non possono essere liberi adesso? Liberi di correre nei prati, andare a scuola, innamorarsi della luce del mattino e inciampare sull’erbetta durante una partita a calcio senza il peso di una paura grossa come macigni o, come i più anziani, fissare cauti il finire delle stagioni. Gaza sfoggia una bellezza sciupata ma dai colori lucenti, come può essere il salto di un giovane ginnasta, il tramonto del dietro le montagne, il volo melodico degli uccelli.

E’ la vita di tutti i giorni, la frenesia, la scoperta di sé, anche l’abbandono ad una piacevole quiete, la resa di un romanticismo sgretolato, dove l’amaro dei poveri si confonde al miele di un buon gesto, come quello di una luce accesa in una casa dove non c’è posto per la guerra, per la morte, dove si cresce nell’essenza del tutto nel poco, e dove il poco si inarca in una spinta forte e greve, per espellere il male dalle strade, dalle case incenerite e parche, dagli scheletri dei palazzi lugubri, esangui e vuoti. Qui balugina – tra le macerie – il diamante di un bambino che gioca felice. Quando penso al frivolo occidentale volgo lo sguardo a queste fotografie, che testimoniano la vita che cresce, e queste foto sono i suoi battiti. Anche lì. Dove pulsa il cuore di un conflitto secolare.

Gaza è anche…l’adolescenza imperiosa e la grinta di farcela. La via di andare ma restare legati a questa terra in fiamme, agli orrori e allo struggimento, e di andare, alti come il sole verso una pace giusta.


Non c’è posto dove non dimori l’allegria di un pianto di gioia. Gaza ride, ma più forti degli altri sono le sue risate, più vero il suo accoramento, più cieca ma tenace la sua speranza, il coraggio è una voragine, si allarga e non si restringe, sono tutti coinvolti, costretti a stare in piedi, pronti a non aver paura.
Qualche volta Gaza si guarda allo specchio…e si trova bella, si dimentica del resto. Lascia da parte l’orrore, la tragedia, le le mani irrigidite di chi non posa le armi.
E poi si tuffa, lì, come cantava Battisti… laddove Un tuffo dove l’acqua è più blu…ma solo nell’immaginazione di questi bambini, perché le acque sono sporche lo stesso, al contrario dei sogni quelli stanno lì trasparenti come un fiume da bere, e sinceri.

La sorpresa di un felino libero, come una una sposa occidentale, o un cucciolo di uomo spaesato.

Nell’alba di Gaza, i colori blu e corallo si intonano con l’aria plumbea e si incontrano nella foce di un uomo, le sue mani: un pescatore si prepara per una nuova, faticosa giornata; non c’è alcuno spazio per la poesia, eppure questa foto parla da sé, è una lezione di calma e saggezza. E’ uno scatto sereno, che tranquillizza lo sguardo: un anziano si affaccia a vedere che cosa ne è stato della sua gioventù. Gaza è anche nostalgia, commozione, sapienza.

…come il salto di una infanzia ritrovata.

Gaza è una preghiera, gli scatti di Sabbah in qualche modo lo sono anche loro. Preghiere sussurrate e silenziose, come la pace solo può essere, dichiarazione di un desiderio custodito in uno scrigno.
Gaza è una felicità taciuta.
Una musica che non è stata ancora composta. Una poesia incompiuta, un uomo saggio con la mano sul petto e l’altra sulla fronte per scorgere l’orizzonte. Un fiore i cui petali restano aperti sul domani. Gaza è un amore timido ma fulgido, integro. E’ la danza degli invisibili.

Gaza non è solo guerra. E per capire che un conflitto procrastinato e tra i più ingiusti del secolo, per la perdita di vite umane, specie civili. Si parla di bambini e anziani, ma anche di uomini nel loro vigore esistenziale, donne che sono appena divenute madri, ragazzine che hanno gli occhi traboccanti di sogni. Quando guardiamo la nostra tv, mi viene da pensarlo: chissà cosa accade a Gaza. Quando mi preparo per uscire con le amiche, o mentre osservo un bambino che mangia golosamente il suo gelato e ride, ride pieno di entusiasmo, io penso a Gaza.
E questo fa pensare, anche lì c’è chi nasce col sorriso, vive sotto le bombe, studia, legge, ama, stringe amicizia e perde i propri cari, ha desiderio di crescere adattandosi ad una vita imprigionata dal potere imposto da altri. Gaza è libertà repressa, un canarino chiuso in una gabbia che aspetta di volare libero. Dovremmo ricordarlo tutti, ogni giorno.