
Sedici, le ore impiegate dai candidati per il viaggio in autobus alla ricerca del lavoro dei loro sogni. Sessantacinque euro è la spesa massima che i concorsisti sostengono per acquistare il biglietto dell’autobus. La fuga di cervelli non conosce tregua.
Sul versante privato conosciamo 33enni costretti a vivere ancora in famiglia, ragazzi pentiti dell’essere tornati dall’estero; sono sempre più laureati che quasi sempre viaggiano, verso il nord, tutta la notte per risparmiare sui costi rischiando di addormentarsi il giorno dopo sui banchi dell’esame.
Sono circa 1,7 milioni le persone del sud che si sono spostate negli ultimi 15 anni per lavoro: questi numeri non sono paragonabili alle migrazioni degli anni ‘60/’70 che spostarono più di quattro milioni di persone, ma allora lasciavano il sud disoccupati che non avevano studiato e talvolta analfabeti. Oggi se ne vanno gli studenti con i voti più alti, così facendo la società del sud finirà per sprofondare; persino le nascite, che erano una prerogativa del meridione, sono in costante ribasso e si fanno meno figli che nel centro-nord.
Con i risultati del 4 marzo si è aperta un’importante riflessione sul voto meridionale pressoché monopolizzato dal “M5S”, catalogando tutti questi voti come un’unica grande richiesta di assistenzialismo.
Se vogliamo che i ragazzi restino ancora qua al di là del rancore, dobbiamo formulare le domande giuste e provare a dare delle prime risposte; di sicuro non si può che partire dal lavoro, ma i migliori e i coraggiosi preferiranno comunque andarsene.