
“Avevo vent’anni, non permetterò mai a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita” (Paul Nizan). Quando Sebastiano ha iniziato a entrare nel giro della tossicodipendenza di anni ne aveva molti meno, appena tredici e iniziava allora a fumare per “rilassarsi”. Da qui parte il percorso di questo giovanissimo fragile uomo e di sua madre Carolina Bocca che ha deciso di farsi testimone di quanto ha vissuto, mettendo nero su bianco la sua esperienza con il libro “Soffia forte il vento nel cuore di mio figlio”, con cui ha fatto tappa anche a Napoli nella magnifica cornice di Palazzo San Teodoro. L’incontro è stato introdotto dal presidente della I Municipalità Francesco De Giovanni e accompagnato dagli interventi dell’Avvocato Federica Mariottino, fondatrice del gruppo su fb “31 SALVATUTTI” che raccoglie interventi e opinioni sul “rapporto” tra giovani e alcol, e di Roberta Gaeta, Assessore al welfare del Comune di Napoli.
“Non sono una psicologa, una giornalista né un’esperta in materia, sono solo una mamma che grazie e nonostante la tossicodipendenza di mio figlio, mi sono trovata a tirare fuori un grande coraggio, rimettendo in discussione me stessa, la mia intera famiglia, la mia vita. Ho deciso di portare, inoltre, la mia testimonianza in giro, per aiutare gli altri, anche grazie Gianpietro Ghedini (che ha perso un figlio di 16 anni, buttatosi in un fiume dopo aver assunto una droga sintetica) della Fondazione Ema Pesciolino Rosso con la quale collaboro”. Una grande prova a cui la vita la ha sottoposta e che questa donna fragile e forte allo stesso tempo ha interpretato come un “regalo”, un’occasione per mettere in discussione tutto e ripartire da sè. Ed è proprio su questo punto che nel corso dell’incontro e dibattito si è molto battuto, sull’importanza dell’individuo adolescente e dell’individuo genitore, ciascuno unico e diverso a modo suo, da qui la conclusione che non c’è un modo giusto o sbagliato di essere genitore o figlio. Questo Carolina lo ha capito confrontandosi e scontrandosi con un figlio che lei stessa definisce “spettinato”, che vedeva tornare a casa smarrito, con gli occhi rossi, preda di attacchi di ira. E la reazione più ovvia a questo è stata quella di puntare il dito contro il figlio ribelle, la pecora nera della famiglia, per capire poi solo dopo, grazie al supporto di un percorso di cura e riabilitazione, che la strada da seguire era un’altra. E così è arrivata la comunità per tossicodipendenti under 18, in cui Sebastiano è stato seguito per due anni, vedendo i genitori per la prima volta dopo soli sette mesi e poi il ritorno a casa, la ricaduta, l’esperienza in stazione centrale a Milano, vivendo da clochard e poi Parigi e infine Roma dove è iniziata una nuova vita per lui, riprendendo in mano gli studi e iscrivendosi a un corso di moda “per cui è molto portato a detta degli insegnanti” e mentre lo dice alla mamma brillano gli occhi di gioia e commozione, così come al pubblico in sala.