[dropcap]T[/dropcap]ra pochi giorni si concluderanno gli esami di stato e l’ansia e la tensione saranno solo un ricordo di un’inevitabile passata esperienza. Chi andrà all’università, chi cercherà un lavoro ma si tratta, in ogni caso, di un momento delicato che sottolinea il passaggio dall’adolescenza all’ingresso nel mondo degli adulti.
Fra vari consigli su come superare serenamente l’esame di “maturità” e le polemiche sorte a causa del cambiamento delle date per i test d’ammissione alle facoltà, propongo come al mio solito un paio di riflessioni. Una di queste è sull’orientamento scolastico, sia in entrata che in uscita, nelle scuole secondarie di I e II grado. Questa prassi era nota nel mondo anglosassone, già nei primi del Novecento, come counseling di orientamento in cui si valutavano sia la predisposizione che l’attitudine dello studente a scuola, università o lavoro futuri. In effetti il termine “orientare” è improprio, perché in realtà si tratta di “accompagnare” l’altro nella scoperta di “mondi possibili”, cioè aiutare e facilitare, quel giovane in ricerca, nello scoprire quali passioni, desideri nascosti ed attitudini presenta. Vorrei quindi problematizzare l’attuale diffusa modalità con cui avviene l’orientamento e non polemizzare sul vario operato ed impegno dei singoli docenti preposti a quest’incarico. Mano sulla coscienza per tutti quei docenti che orientano gli adolescenti, condizionando nella scelta di indirizzo o scuola, mirando anzitutto alla soddisfazione di interessi propri e della scuola e non quelli dello studente. L’orientamento in uscita dovrebbe prevedere una spiccata capacità e competenza professionale ed una buona conoscenza di psicologia dell’adolescenza soprattutto sotto il profilo relazionale. Sono sicura che ce ne sono di scuole che applichino tale criterio nella scelta degli orientatori, ma per avere dei risultati ottimali non bastano casi sporadici, occorre formazione al servizio.[divider]Un’altra osservazione che ho fatto riguarda i servizi giornalistici che, nel periodo degli esami di stato, hanno fatto solo interviste a studenti liceali, mentre il Ministero dell’Istruzione promuove uno spot pubblicitario che dovrebbe tendere ad incrementare l’iscrizione a scuole tecniche e professionali. Mandare messaggi contraddittori, crea nei giovani instabilità e sfiducia, anche sotto il profilo politico. La decisione di cambiare le date dei test d’ammissione già programmati ed il pasticcio dei bonus, sapendo che le scuole non hanno un oggettivo criterio unico di valutazione e si sarebbero quindi create discrepanze ed ingiustizie, fanno parte della “Babele” italiana.
Proprio il Ministero, che dovrebbe mostrare stabilità nelle scelte, essere guida e punto di riferimento nell’orientamento dei giovani, sta alimentando lo stato di disorientamento e scoraggiamento dei nostri ragazzi.
Suzana Blazevic