
Durante il convegno del 25 novembre tenutosi al Maschio Angioino si sono avvicendati in quattro tavoli di discussione diverse figure professionali che con i loro interventi, articolati e densi, hanno dimostrato di “sentire” il problema “endemico” della violenza sulle donne come un problema culturale sociale e ovviamente politico. Per questo motivo è necessario che ognuno faccia la “propria parte” liberando la donna dal ruolo di “vittima corresponsabile” delle violenze subite e smascherando i pregiudizi sottesi nelle situazioni di violenza e nella loro difficile risoluzione, quando queste finalmente emergono “alla luce del sole” e impegnano gli operatori più disparati, dai medici ai magistrati. Sono stati messi in luce pregiudizi e condizionamenti riguardanti i rapporti uomo-donna e “donna violata” e istituzioni e si è rilevato e rivelato quanto le situazioni di violenza non siano affatto sporadiche e che danneggiano le relazioni madre-figli, a causa della violenza “assistita”.
Infatti, “vedere la violenza è diventarne vittime” al punto da inficiare una serena crescita per i futuri cittadini del domani, insistendo sul fatto che chi vede usare violenza verso la propria madre invariabilmente avrà davanti sé due strade, diventare a propria volta nuova vittima o nuovo carnefice. Ovviamente se non si ricorre in tempo ai ripari e se non si protegge sia la madre che i suoi figli dall’uomo violento.
A protezione di “donne e bambini” è richiesta una pena “certa”, una precisa individuazione della responsabilità della persona violenta e il suo allontanamento dalle persone che ha messo a rischio di vita, di salute, fisica e psichica. Si è rilevata l’importanza di un sistema integrato, come già attua l’associazione “Maipiùviolenzainfinita” con i suoi convegni all’interno delle scuole d’Italia, e di cooperazione con un unico intento tra figure professionali che siano non solo “sensibili” al problema e alla sua risoluzione definitiva, ma anche competenti, consapevoli e “formati” in materia di violenza sulle donne. Nessuna ambiguità, nessun buonismo: i danni sui figli, ad esempio, sono incontestabili, i danni delle donne maltrattate sono da risolvere soprattutto “riconoscendo”, nei vari ambiti operativi d’aiuto, e di “giustizia” la violenza che hanno subito; da cui è importante che si risollevino con un lavoro psicologico ma, soprattutto, creando le “condizioni” per cui le donne, assieme ai propri figli, si emancipino da costrizioni psicologiche purtroppo culturali, sociali, economiche imperanti; condizioni grazie alle quali raggiungano una indipendenza economica e sociale. La “violenza” è quindi un problema di tutti”. “Senza peli sulla lingua” sono state raccontate le esperienze dei professionisti dei vari settori, quali avvocati penalisti e civilisti, medici di pronto soccorso, criminologi con cui una donna che ha subito violenza si trova a rapportarsi quando fa emergere la propria situazione di dolore e si è rilevato quanto in alcune situazioni sociali, burocratiche, economiche si annidi un atteggiamento che “raddoppia” la violenza e condiziona la vita nel proprio quotidiano. Come persone che soffrono di Sclerosi Multipla e di Lupus, malattie che non riscontrano un corretto “riconoscimento” nello “Stato Sociale”, provocando situazioni di grave dipendenza di tali persone, affette da tali rare patologie, nei confronti di parenti poco amorevoli e di povertà indotta, di separazioni subite e spesso non eque, di “sfruttamento” da parte di mariti o compagni della situazione di svantaggio in cui versano persone non sostenute dallo “Stato Sociale”.
Eliana, studentessa ventisettenne, richiama tutti e ognuno alla responsabilità; riportando danni permanenti in seguito a una tentata rapina mentre tornava da lavoro, con il suo racconto delle sue attuali paure, incubi, non usuali per la sua giovane età, ritiene di “dover e poter” raccontare quanto le è accaduto come unico “baluardo contro i soprusi” che si verificano quotidianamente nella nostra società, per non accondiscendere al pregiudizio imperante che tali cose, appunto, accadono e che è meglio “evitare di provocarle”, limitando la propria libertà, di uscire di girare per strada in qualsiasi orario e con una borsa a tracolla.
Una “chiamata alle armi” la testimonianza di Eliana per ogni cittadino che diventa testimone di una violenza aderente alla iniziale dichiarazione del sindaco Luigi De Magistris che in apertura dei lavori ha affermato con forza: “odio gli indifferenti”. Si è messo in luce, con gli interventi dei diversi avvocati, quanto sia grande la distanza tra il Legislatore e i dati reali. Come nelle separazioni che, per motivi di ordine economico, molte donne sono costrette a accettare di tipo “consensuale” piuttosto che perseguire quella “giudiziale”, così come il Legislatore sembra non sapere che molti ex mariti lavorano in nero per non versare il mantenimento alla ex moglie e ai figli e che i figli degli uomini violenti a causa della “violenza assistita e diretta” che hanno subito perpetueranno il circuito della violenza stessa, diventando vittime o carnefici. Ancora, che nei regimi di separazione e divorzio le violenze perpetrate all’interno delle mura domestiche vengono perpetuate in modi più sottili attraverso le ritorsioni economiche e attraverso la manipolazione dei figli, spesso sotto il vessillo dell’interesse del minore.
Per questo motivo i diversi relatori professionisti hanno caldeggiato una visione e un approccio del problema diversa da quella ancora in atto; non più da considerarsi come un’emergenza, bensì come un problema culturale da debellare attraverso la prevenzione capillare, perché le vittime di femminicidio, l’ultimo atto di vessazioni e soprusi, psicologici e fisici, sono sempre “vittime preannunciate”, e di queste, come per coloro che subiscono o hanno subito quotidiana violenza, ne ha responsabilità l’intera società, costituita da individui che devono essere consapevoli pienamente dei diritti di ogni essere umano alla libertà, alla autorealizzazione, e al diritto inerente, ancora a ogni essere umano, di non subire nessun tipo di violenza. Anche i libri che registrano le storie delle donne che hanno subito violenza sono importanti testimonianze per una “presa di consapevolezza” per individuare senza alcuna ambiguità la violenza, i suoi modi e i suoi “attori” e rendere altrettanto consapevoli i “testimoni di violenze” che anche la loro attiva partecipazione è importante per debellare la violenza, in quanto girare il volto in un’altra direzione per non “avere problemi” è un’altra violenza. Diffusione capillare di consapevolezza: “La violenza è una mancanza di vocabolario” cita lo slogan dell’associazione “maipiùviolenzainfinita”, conoscere il problema è nominarlo con esattezza per riconoscerlo e delimitarlo sempre più.