[dropcap]D[/dropcap]ue grandi appuntamenti musicali hanno avviato la chiusura del festival internazionale MITO Settembre Musica, importante iniziativa culturale che dal 2007 coinvolge anche la città di Milano. Alla sua settima edizione, il festival, già attivo dal 1978 come “Settembre Musica”, è diventato un prestigioso punto di riferimento per la musica colta: oltre ad ospitare monografie dedicate ai maestri di musica contemporanea e concerti con artisti di rilievo nel campo della musica classica e antica, promuove da tempo anche la diffusione delle sonorità etniche e curiose. È il caso dei due concerti-evento presenti nel programma dell’ultima settimana: The Kilowatt Hour e “La Danza dei Lemming”.
Sfiora la sperimentazione di Stockhausen e Penderecki la proposta dei The Kilowatt Hour, andato in scena alle OGR mercoledì scorso, un progetto in anteprima italiana che vede coinvolti David Sylvian, Christian Fennesz e Stephan Mathieu. Stupisce vedere che Sylvian, a sei anni dalla sua ultima performance torinese, dimostri un’inguaribile vena minimalista: con questa nuova esperienza sonora abbandona lo splendido cantato per tornare nell’ombra, memore di quell’improvvisazione strumentale già collaudata nei dischi “Plight & Premonition” (1988) e “Flux + Mutability” (1989), in coppia con Holger Czukay, bassista dei CAN. Il pubblico delle OGR è stato ammaliato per quasi un’ora dalle alchimie sonore dei tre, immobili nelle loro postazioni di improvvisatori d’avanguardia e dal recitato rituale del poeta Franz Wright. Benché sicuramente lontana dal pop raffinato di “Secrets of the Beehive” e più vicina all’elettronica minimale di “Blemish”, la performance ha toccato territori intimistici, grazie anche ad un visual estraniante sullo sfondo, che a tratti ha ipnotizzato gli spettatori con la sua vena onirica.
Di tutt’altro genere il mantra sonoro de “La Danza dei Lemming”, andato in scena al teatro Colosseo venerdì 20 settembre: tre diverse concezioni musicali per oltre tre ore di musica. Apre la scena il compositore Teho Teardo, affiancato al violoncello in loop da Martina Bertoni e Julia Kent, con musiche dal sapore post industriale e brani tratti dai suoi ultimi lavori, come la colonna sonora de “L’amico di Famiglia” e la collaborazione con Jim “Foetus” Thirlwell.
Degna di nota la lunghissima suite di Damo Suzuki, accompagnato per l’occasione da membri di Larsen e Blind Cave Salamander, gruppi ben noti nella Torino underground. La strumentale proposta ha ricordato al pubblico che Suzuki è stato nei CAN il tempo necessario per creare tre grandi capolavori e durante lo spettacolo ha trovato un momento di particolare intensità verso il finale, quando l’elettronica e il rumorismo l’hanno fatta da padroni, arrivando quasi a coprire totalmente la sua voce monocorde. Non è detta l’ultima parola, ed ecco sul palco gli Amon Düül II, storica band tedesca di kraut-rock psichedelico dalle tinte oscure, attiva prevalentemente negli anni settanta. Nonostante l’età, il gruppo ha incantato il pubblico con brani fortemente lisergici come “Surrounded By Stars” e “Deutsch Nepal”; le atmosfere progressive e visionarie hanno così chiuso la serata, grazie soprattutto alla nota bravura del violinista/chitarrista Chris Karrer. Insomma, un assaggio di rock spaziale che non dimenticheremo facilmente.
Gilda La Ragione