[dropcap]D[/dropcap]immi che lavoro fai e ti dirò come sta il tuo cuore. Due studi presentati all’ EuroPrevent 2013 in a Roma dimostrano che un impegno fisico pesante ha un effetto negativo sul rischio di malattia cardiaca. La prima ricerca riguarda uno studio illustrato da Demostene Panagiotakos, professore Associato di Statistica-Epidemiologia presso la Harokopio University di Atene, che ha effettuato un’indagine sul tipo di lavoro svolto da 250 pazienti che avevano subito un primo ictus, 250 con un primo evento coronarico acuto e 500 soggetti di controllo. In una scala a 9 unità (1 = lavoro fisicamente impegnativo e 9 = lavoro sedentario/mentale), l’analisi ha mostrato che gli eventi coronarici e gli ictus sono più spesso collegati a chi ha un’occupazione fisicamente faticosa. [divider]E questo anche dopo aver “aggiustato” i dati secondo vari potenziali fattori di pericolo quali età, sesso, indice di massa corporea, fumo, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, storia familiare di malattia cardiovascolare e aderenza alla dieta mediterranea. I lavori “mentali” sono stati invece associati a un rischio inferiore del 20% di eventi coronarici acuti o di ictus ischemico. Una seconda analisi effettuata da esperti in Belgio e Danimarca avalla la tesi prendendo in considerazione non solo l’impiego, ma anche il tempo libero. Lo studio ha riguardato più di 14mila uomini di mezza età privi di disturbi coronarici all’inizio della ricerca nel 1994-1998. Sono stati usati questionari standardizzati per valutare i fattori socio-demografici, lo stress lavorativo ed il livello di attività fisica al lavoro e nel tempo libero. Sono stati misurati anche i classici fattori di rischio coronarico. L’incidenza di eventi coronarici è stata monitorata nel corso di un follow-up medio di 3,15 anni. I risultati hanno dimostrato un effetto benefico complessivo dell’attività fisica nel tempo libero, ma un effetto decisamente negativo quando si tratta di lavoro: nel primo caso lo sport è associato con un 60% di rischio di eventi coronarici negli uomini con bassa attività fisica lavorativa. Un effetto protettivo che non è stato osservato in quegli individui che, per esigenze di lavoro, sono esposti a grandi sforzi fisici.
Bruna Di Matteo