
[dropcap]O[/dropcap]ggigiorno siamo portati ad essere piuttosto indifferenti di fronte a problemi che non sono di nostra personale pertinenza, soprattutto quando si tratta di un argomento come la malattia o la morte. Nonostante sappiamo che sia inevitabile e che prima o poi toccherà ad ognuno, si evita di parlare della morte, vuoi per scaramanzia o per paura, chi per non accettazione. Non voglio soffermarmi sulla definizione dello hospice, poiché tutte le informazioni si possono facilmente reperire con un semplice “clic” su ogni motore di ricerca. Mi interessa principalmente rivalutare il senso di quel luogo, soprattutto per tutti coloro che eventualmente si sono fatti un’ idea sbagliata a riguardo dell’ hospice, come luogo in cui si va a morire. Siccome la morte è una realtà alla quale non si può voltare le spalle penso che sia più proficuo affrontarla guardandola come una parte integrante dell’esistenza umana.
L’hospice, cioè centro residenziale di cure palliative, ha come finalità il prendersi cura della persona nelle ultime fasi della sua vita, in cui si cerca, nei limiti del possibile, di migliorare la qualità della vita degli ammalati e dei loro familiari e può definirsi come tutto quello che viene proposto durante la malattia e durante il lutto è sostegno e supporto, oltre all’approccio medico-sanitario. Purtroppo, mentre si parla ancora di utilizzo dell’intervento psico-sociale, non è ancora previsto l’intervento di counselig, in quanto, per ora è ancora poco conosciuto e quindi applicato solo in poche se non rare realtà. Per non parlare del counseling filosofico quasi sconosciuto e sottovalutato da molti ma che avrebbe un ruolo importantissimo.
Cosa farebbe di diverso un counselor filosofico nell’hospice rispetto allo psicologo o al medico? Ciò che distingue il counselor filosofico da altre figure di sostegno è la capacità di pensare in modo dinamico e non fisso ed assolutistico, quindi rigido. In un mondo che cambia vertiginosamente, penso che occorra abituarsi ad una nuova mentalità che preveda un’integrazione di “saperi” e non solo una esclusione. Sono sicura che un approccio “filosofico”, in cui i discorsi vertono al significato e senso che la persona ammalata dà alla propria vita e morte, possa aprire ulteriori domande in un’altra prospettiva fino ad ora non sperimentata. In ultimo, quando si parla dell’ hospice si dimentica il carico emotivo e lo stress che affrontano quotidianamente anche medici ed infermieri, gestito purtroppo in modo inadeguato, perchè impreparati, ed a ciò fa spesso seguito l’ansia e la depressione proprio del personale sanitario.
Epicuro disse: “Nasciamo una sola volta, due non è concesso; tu, che non sei padrone del tuo domani, rinvii l’occasione di oggi; così la vita se ne va nell’attesa, e ciascuno di noi giunge alla morte senza pace”, ed io credo, avendo avuto ingente esperienza con gli ammalati, che quello che serve è proprio riuscire a morire in pace.
Suzana Blazevic