[dropcap]A[/dropcap]nche dopo la riforma Fornero, il contratto di apprendistato si qualifica come il principale strumento per avvicinare i giovani al mondo del lavoro.
La riforma Fornero nell’ottica di combattere la disoccupazione giovanile, ha definitivamente investito sul contratto di apprendistato rendendolo l’istituto contrattuale principale per avvicinare i giovani al mondo del lavoro.
La disciplina generale è contenuta negli artt. 2130-2134 c.c. anche se, storicamente, sono stati molti gli interventi legislativi volti ad armonizzare di volta in volta tale contratto alle esigenze mutevoli del mercato del lavoro.
L’ultimo intervento del legislatore, la legge n. 92/2012, ha introdotto alcune modifiche cercando di produrre le basi per un difficile slancio occupazionale e per fornire ai giovani disoccupati o inoccupati, una corsia preferenziale nel mondo del lavoro.
Queste le novità principali:
- introduzione di una durata minima del rapporto non inferiore ai sei mesi (fatte salve le attività stagionali per le quali si rinvia agli accordi interconfederali o contratti collettivi nazionali di settore);
- nel caso di recesso al termine del periodo formativo, durante il periodo di preavviso (che decorre dal medesimo termine), continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato;
- con riferimento alle assunzioni dal 1° gennaio 2013, si incrementa il numero massimo di apprendisti che possono essere (contemporaneamente) alle dipendenze di un medesimo datore di lavoro (direttamente o mediante ricorso alla somministrazione di lavoro). Mentre la normativa precedente, valida fino al 31 dicembre 2012, fissava come unico limite massimo, il rapporto pari al 100% rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro (ossia un rapporto di 1 a 1), la disposizione in esame prevede:
- che il suddetto limite massimo, pari al 100% rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro, si applica esclusivamente ai datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti
- che negli altri casi il numero di apprendisti che un medesimo datore di lavoro può assumere, non può superare comunque un rapporto del 3 a 2;
- si prevede inoltre, per i datori che occupano almeno 10 dipendenti, che l’assunzione di nuovi apprendisti sia subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro (la percentuale è tuttavia stabilita al 30% nei primi 36 mesi successivi all’entrata in vigore della legge di riforma). Dal computo della percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Gli apprendisti assunti in violazione dei suddetti limiti sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.
Il nostro ordinamento, inoltre, prevede una serie di requisiti ed impone alcuni vincoli a tutela dei lavoratori, tra i principali ricordiamo: la forma scritta ab substantiam quale condizione di validità della relativa pattuizione ed il divieto di retribuzioni a cottimo. Allegato al contratto di lavoro inoltre, il datore di lavoro dovrà necessariamente predisporre un piano formativo che alterni una formazione di tipo teorico ad una formazione sul campo. L’intero piano formativo, che deve essere ritenuto idoneo al conseguimento della qualifica da perseguire, deve essere documentato attraverso un apposito libretto formativo a cura del tutor aziendale.
Ancor prima della riforma Fornero, il contratto di apprendistato, è stato declinato in tre varianti:
- quello per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione: destinato a tutti i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto i 15 anni di età. La durata del contratto non può essere superiore ai tre anni ed è determinata tenendo in considerazione la qualifica da conseguire.
- quello professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro ed un apprendimento tecnico-professionale; destinato a tutti i soggetti di età compresa tra i 18 e 29 anni. Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi della legge 53/03, questo contratto può essere stipulato anche a partire dal 17° anno di età. Ha una durata non inferiore ai 2 anni e superiore ai 6 anni ed è fissata dai contratti collettivi in funzione dal tipo di qualificazione da conseguire.
- quello per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione: destinato a tutti i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. La fissazione della disciplina e della durata di questa tipologia di apprendistato è affidata alle regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.
La regolamentazione prevista per i tre tipi contrattuali è sostanzialmente coincidente mentre variano sensibilmente i percorsi formativi previsti per ciascuna tipologia contrattuale in relazione alla qualificazione professionale di volta in volta da conferire.
Per il datore di lavoro, in tutti i casi, il contratto di apprendistato rappresenta da sempre un’importante possibilità per poter accedere ad agevolazioni contributive che variano rispetto sia alla natura dell’attività svolta (commerciale/artigiana) sia al numero di dipendenti occupati (fino a 9/oltre i 9).
Un’altra importante agevolazione, in questo caso indirettamente retributiva, è la riconosciuta al datore di lavoro che può inquadrare il lavoratore apprendista, fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante in applicazione del CCNL nazionale.
Nonostante queste importanti agevolazioni però, dal punto di vista contributivo, il contratto di apprendistato ha perso parte del suo appeal. La riforma Fornero infatti, ha avuto un duplice impatto negativo su tale istituto. Quest’ultimo sarà infatti più costoso per le imprese sia a causa del contributo aggiuntivo di misura pari all’1,41% destinato al finanziamento della nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASPI), sia per la nuova tassa sul licenziamento dovuta anche in caso di risoluzione del rapporto al termine del periodo di apprendistato.
Il ticket per i licenziamenti infatti, andrà pagato in ogni caso d’interruzione dei rapporti di apprendistato diverso dalle dimissioni (del giovane apprendista) o dal recesso del lavoratore, ivi incluso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di apprendistato a partire dal 1° gennaio 2013.
La scelta del legislatore di puntare nuovamente su tale istituto contrattuale per incentivare le assunzioni dei giovani lavoratori sembra, a parere dello scrivente, più che condivisibile.
Ma cos’altro si potrebbe fare? Si potrebbe rendere ancora più libera e flessibile la formazione completamente aziendale che, in fin dei conti, é l’unico momento realmente formativo per un giovane senza esperienze lavorative. Ricordando inoltre come l’intera materia sia direttamente regolata dalle regioni, bisogna esortare queste ultime a raggiungere in modo coordinato ed omogeneo gli obiettivi prefissati. Per tutti gli operatori del settore infatti, sono ben noti i ritardi, la mancanza di coordinamento e l’asfissiante burocrazia che hanno caratterizzato l’operato delle regioni in materia di apprendistato negli ultimi anni.
Un altro importante obiettivo inoltre, che allo stato attuale sembra essere più un desiderio, potrebbe essere quello di creare un network operativo tra il mondo del lavoro e la scuola.
In fondo, se non sull’istruzione e formazione, oggi su cos’altro dobbiamo e possiamo investire?
dott. Massimiliano Nesci
massimiliano.nesci@gmail.com