
Subito un inizio in salita per Renzi e il suo governo di (presunte) novità. L’ISTAT infatti, solitamente poco sensibile agli annunci dei governi e alle loro aderenze presso giornali e televisioni, non si è smentita neanche questa volta, e ha diffuso dati niente male circa i contratti collettivi di lavoro già scaduti (da un pezzo) e non rinnovati neanche nei proclami governativi. Si tratterebbe di 8,5 milioni di lavoratori dipendenti fra pubblico e privato, una cifra “monstre” soprattutto se paragonata alla situazione peraltro già complicata di qualche anno addietro. A febbraio infatti sono state ratificate solo quattro intesine riguardanti i lavoratori del tessile, pelli e cuoio, gas e acqua, turismo e strutture ricettive. Resterebbero da adeguare almeno cinquantuno categorie. E questa già potrebbe essere una notizia: in Italia ci sono ancora cinquantuno tipologie di lavoratori in attività…Attenzione, stiamo parlando di soggetti che lavorano, con contratti vecchi non rattoppati all’inflazione e al costo della vita, ma che comunque lavorano. Nel computo mancano tutti quelli che lavorano con tipologie di contratto precarie e farfallone, addirittura danneggiati dalla legge Fornero e dalla quasi sistematica non stabilizzazione dopo il secondo consecutivo contratto farlocco, e solo parzialmente riabilitati dal (cosiddetto) decreto Lavoro del povero Letta. Per non andare a tutti quei lavoratori per il fisco liberi professionisti (il popolo delle partite IVA, oggi in verità meno popoloso), ma per la famiglia e le fidanzate/i più che subordinati.[divider]Dicevamo di otto milioni e mezzo di persone che vanno a lavorare con uno stipendio (o salario, a seconda del grado di proletariato) inadeguato al nuovo riferimento inflazionistico, comprensivo dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (quello che considera l’Italia un’unica grande famiglia di consumatori, anche se al suo interno le abitudini di spesa sono ovviamente molto differenziate), l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (che si riferisce all’insieme delle famiglie che fanno capo a una tipologia specifica di lavoratori) e il piuttosto bizzarro IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea). L’IPCA infatti è un indice elaborato per ottenere una unità di misura comparabile con altri indici, identici, dei Paesi dell’Unione Europea, una nuova tendenza che vorrebbe armonizzare i prezzi ufficiali e quelli effettivi, depurando inoltre l’armonia in saldo dall’andamento dei prezzi energetici. Peccato che l’Italia sia uno dei principali importatori al mondo di energia, con il conseguente rischio concreto che, non tenendo conto dei costi sostenuti per l’approvvigionamento di energia, le retribuzioni non recupererebbero mai il loro potere d’acquisto. Comunque, a gonfiare le fila dei lavoratori in attesa di rinnovo collettivo ci sono i due milioni del comparto commercio (le commesse di negozio per esempio), e poi, naturalmente immancabili, i dipendenti della Pubblica Amministrazione, in numero di 2,9 milioni. Quasi tre milioni di lavoratori pubblici (alternati anche a pubblici scaldaseggiole) i cui contratti sono stati bloccati dal povero Letta fino alla fine del 2014. Secondo i soliti comunisti (nella cui categoria rientrano ormai anche i grillini, oltre ai vecchi rifondaioli e derivati, vendoliani e cigiellini), il modo più sicuro per far pagare la crisi ad una grande fetta della popolazione, riuscendo a tenere il deficit sotto il 3% del prodotto interno lordo come ordinato dal patto un po’ fanfarone di stabilità e crescita di Maastricht 1997. In che modo? Semplice, il prodotto interno lordo non cresce (perché non cresce) e allora noi non facciamo spesa pubblica, o meglio, facciamo quella spesa cattiva, cioè buona per fare arricchire qualche vecchia paraninfa della burocrazia e dell’industria, e non facciamo quella buona, cioè cattiva perché perno illiberale della domanda di beni e servizi e così stimolante centralista (illiberale) della crescita economica. Insomma, per risparmiare e fare l’austerità il governo italiano chiede aiuto soprattutto ai suoi vituperati dipendenti, gentilmente invitandoli a non avanzare troppe pretese e ad accontentarsi di quello che hanno.[divider] Ma non finisce qui: blocco delle assunzioni, tagli al personale (circa 300.000 unità secondo dati Aran), tagli agli straordinari, tagli ulteriori e melodrammatici alla scuola. Proprio nella tanto reclamizzata agenzia educativa, dopo gli insegnanti gelminizzati, adesso sembra la volta del personale ausiliario (bidelli soprattutto) sbaraccare dagli istituti e tornarsene a casa con un ammortizzatore poco ammortizzante e decisamente più simile a quell’infido sellino (pro)emorroidale della bmx. Sempre in base alle statistiche dell’ISTAT rompipace dei ministri, si starebbe ancora allargando la forbice fra retribuzione e inflazione, a vantaggio misterioso della prima, ma ciò, precisano perfidamente i nostri statistici, dipende quasi esclusivamente dalla frenata dei listini. Significa che i prezzi al consumo diminuiscono causa assenza di consumatori, quindi gli stipendi e i salari diventano più competitivi (si fa per dire) solo per palese inferiorità dell’avversario.[divider]E adesso, con il “nuovo” irresistibile Renzi al comando possiamo credere che la situazione cambierà? Se è vero, come è vero, che mister forbici Carlo Cottarelli è già stato autorizzato a proseguire nella sua spending review a motore impazzito, non c’è da stare allegri. Anzi il commissario straordinario, pur di salvare la poltronissima sua, ha cominciato ad assecondare le cifre iperboliche di Matteo il nuovo, arrivando a promettere all’esecutivo il recupero di 20 miliardi (!) entro la fine del 2015, facendo anche incacchiare il povero Letta che, pur avendolo nominato, era riuscito a strappargli boiate di molto inferiori. Il nuovo governo ha anche dichiarato giusta guerra al cuneo fiscale, ma non sa ancora con quali armi combatterla. Una cosa è sicura, il generale in capo sarà proprio Cottarelli, a cui spetterà trovare la strategia folgorante per recuperare la gran paccata di miliardi necessari per vincere senza compromessi. Noi intanto, a insolente sospetto di fumosità delle stime governative attuali e passate, ricordiamo cosa dice la Corte dei Conti nella sua ultima “Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli oneri” relativa al periodo settembre-dicembre 2013; la corte, quasi a voler prendere le distanze (e anche a volerle un po’ canzonare) dalle congetture dell’allora governo del povero Letta, nella parte dedicata ai contesti macroeconomici scrive testualmente che “Il quadro di finanza pubblica delineato dal Governo è strettamente connesso alla previsione di crescita dell’economia. Già lo scorso ottobre, in sede di audizione parlamentare presso le Commissioni Bilancio riunite della Camera e del Senato, la Corte ebbe ad osservare che l’operare della legge di stabilità si collocava sullo sfondo di una previsione governativa per l’economia italiana piuttosto favorevole.” La corte, nel suo inimitabile stile sarcastico/ragionieristico, continua evidenziando come già nella nota di aggiornamento del DEF (il documento di programmazione economica e finanziaria) il governo (del povero Letta…) rivedeva il quadro macroeconomico delle previsioni tendenziali a causa di un precedente eccesso di ottimismo dei “professori”. E se allora i governi di Monti e (povero) Letta vengono tacciati di eccesso di ottimismo, cosa mai potranno dire del Renzi “sparane un’altra”?…[divider]Se vuoi ascoltare l’articolo letto dai nostri redattori clicca qui