
Cesare Battisti è stato arrestato sabato a Santa Cruz de La Sierra, in Bolivia, dopo un mese di latitanza.
La primula rossa dei “Proletari armati per il comunismo”, almeno a giudicare dal video diffuso dall’Interpol, non sembrava affatto aspettarsi l’arresto. Passeggiava tranquillo, occhiali da sole e barba ben curata, per le vie della città boliviana.
Dopo anni di stallo, dunque, l’accelerazione improvvisa voluta da Jair Bolsonaro, che già in campagna elettorale aveva promesso all’Italia un ‘regalo’ non appena fosse stato eletto, sembra aver dato i suoi frutti.
In Brasile i suoi legali, privi di ogni autorità in un altro paese, avrebbero potuto studiare un nuovo ricorso e rischiare di bloccare nuovamente tutta la procedura. Non solo: in Brasile non esiste l’ergastolo e l’Italia si è impegnata nel 2017 a garantire che non sarebbe stato inflitto a Battisti in cambio dell’estradizione. Arrivando in Italia direttamente da Santa Cruz, invece, le cose cambiano. “Sarà espulso dalla Bolivia e sconterà l’ergastolo”, ha spiegato il ministro della Giustizia Bonafede, mentre Salvini continuava a postare tweet nel quale si augurava di vederlo in manette “fino all’ultimo dei suoi giorni”.
All’aeroporto internazionale Viru Viru, a Santa Cruz, ad attendere l’ex terrorista, c’era il Falcon fatto arrivare dal governo con a bordo gli uomini dell’Aise e della Polizia. In Italia Battisti non mette piede da quando nell’81 evase dal carcere di Frosinone e iniziò la sua latitanza tra la Francia (dove divenne uno scrittore famoso), il Messico e il Brasile.
Intanto ad esultare sono anche i parenti delle vittime di Battisti, condannato per quattro omicidi, due commessi materialmente, due in concorso. “È fatta, credo sia la volta buona”, ha detto Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel 1979 dai “Proletari armati per il comunismo” in una sparatoria in cui lui stesso rimase ferito e perse l’uso delle gambe. Per Adriano Sabbadin, figlio di Lino ucciso da Cesare Battisti a Santa Maria di Sala (Venezia) il 16 febbraio del 1979, “è un momento di soddisfazione dopo 40 anni di attesa. Di perdono non se ne parla”. Contento anche Maurizio Campagna, fratello di Andrea, l’agente ucciso da Cesare Battisti il 19 aprile 1979 a Milano. Ora le indagini proseguono, per capire chi abbia favorito la sua fuga e la sua latitanza in Bolivia.