
E’ stato individuato il responsabile dell’uccisione dell’orso marsicano in località Pettorano sul Gizio (AQ). Dopo le primissime ipotesi di avvelenamento e, confermata la morte per colpo d’arma da fuoco, è subito scattata la ricerca del colpevole. Si tratta di un operaio di 61 anni (residente del luogo) che avrebbe agito per difesa ed accidentalmente, ferendo a morte il plantigrado, perché spaventato dall’avanzare minaccioso dell’esemplare (tra l’altro in via d’estinzione).
Un atto di protezione familiare, dunque. La paura e lo smarrimento avrebbero indotto l’uomo a premere il grilletto. All’indagato sono sono stati inoltre sequestrati munizioni e sei fucili, regolarmente posseduti secondo il porto d’armi. Nei pressi dell’abitazione dell’uomo sono state anche rinvenute tracce lasciate dal probabile passaggio di un orso. Da verificare, perciò, se si sia trattato di un incidente. Ma veniamo al punto. Ammessa la nefandezza dell’atto, bisogna ponderare toni e termini. Su blog, testate giornalistiche e specie sui social network anche i più prestigiosi nomi del mondo dell’informazione hanno “sparato a zero”, quando non a vanvera. Non solo lo status pubblicato da Salvini, grottesca ed esilarante strumentalizzazione del caso, ma anche le dichiarazioni di Bruno Vespa su l’orsa Daniza (Con tante tragedie in giro si può essere tristi per la stupida morte di Mamma Orsa? Ebbene sì.) devono indurre ad una autoanalisi del mondo politico e istituzionale, nonché giornalistico. Ma non basta.
Tutta la comunità deve fermarsi a riflettere sull’accaduto e rammentare a se stessa del proprio dovere di prendersi cura dell’ambiente o perlomeno rispettarlo, perché non è un contorno del quale ricordarsi durante le scampagnate del 15 agosto, no. Va rispettato, tutelato e protetto. Qui non si parla di una stupida morte perciò “solo”di un orso, come ha scritto Vespa. Si tratta invece di un caso nazionale, perché no europeo, di accanimento contro la specie. Per tornare al caso marsicano, negli ultimi anni in Abruzzo sono stati uccisi circa 14 esemplari, ma questo dato finora non ha allarmato nessuno, men che meno le istituzioni, rimaste mute per anni. Tranne ora, per l’appunto. L’Enpa (Ente nazionale protezione animali) per esempio ha chiesto -data la gravità degli eventi- le dimissioni al ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, parlando di animalicidio. Può bastare? Non credo. Prima di decantare la colpevolezza dell’uomo o la sua indiscutibile (secondo la gente del posto) innocenza è bene domandarsi se sia lecito occupare il tempo a disperdere energie, altrimenti fruttuose, in diatribe vecchie come il mondo (forse mine rimaste inesplose da anni?!) per condannare non l’atto in se’ vergognoso, bensì l’eccessiva visibilità riservata alla notizia. Sembra inopportuno, inutile dar peso a chi vuole sfruttare il triste evento per accanirsi contro le associazioni che ancora (e per fortuna!) tutelano gli animali, come il WWF.
E’ necessario perciò abbandonare le comprensibili ma deteriori polemiche, e lasciar posto alle indagini oltre che ad una oculata riflessione. Il WWF si è impegnato in merito nel dare voce al “problema orso” come le parole del presidente Donatella Bianchi dimostrano: “E’ urgentissimo attivare quel monitoraggio continuo sul territorio per debellare finalmente bracconaggio, veleni, diffusione di patologie infettive e- conclude Bianchi- presidiare le aree dove vive l’orso accrescendo la cultura della convivenza e della tolleranza”. Tolleranza e cultura della convivenza: queste le parole chiave del discorso della Bianchi per imparare a conoscere e a riconoscere gli errori commessi nella strada di avvicinamento dell’uomo al mondo animale. Per esempio, c’era bisogno dell’ennesimo sbaglio per smuovere le coscienze? In questo caso, si parlava forse di una morte “annunciata”? E a chi vanno attribuite le reali responsabilità? Chi deve pagare? Ovviamente, il responsabile. Ma quale dei tanti? Se indaghiamo a fondo in questa storia dietro l’operaio abruzzese c’è una gran parte della popolazione che giustifica l’accaduto come istintivo atto di difesa, nascondendosi dietro ad un “può accadere”-, transige e spera di insabbiarlo in fretta come un vecchio ricordo.
La vera colpa (collettiva) sta perciò nel non aver educato abbastanza le generazioni, non aver discusso, ragionato sull’importanza della convivenza pacifica uomo-animale. E a chi obietta che la civiltà si riserva agli uomini, non agli animali -nei confronti dei quali è richiesto solo un minimo rispetto in virtù della compassione-, risponderei che in questo caso l’uomo ha “toppato” due volte. Essere civili o compassionevoli sono due cose molto diverse, si è civili due volte nei confronti di esseri indifesi come i nostri cari amici a quattro zampe. Sì, è proprio così. Il raziocinio della specie umana non è un optional e bisogna ricordarsene, l’animale ne è sprovvisto. Ciò lo rende speciale ma vulnerabile. Al di fuori del suo spazio vitale e se minacciato, aggredisce. Come civiltà si è sbagliato clamorosamente e più di una volta. La prima nell’ineducazione ambientale dimostrata dalle generazioni passate (si spera facciano diversamente le presenti) e nei reati commessi, poi. Non basteranno questi giorni di indignazioni, stati su facebook e dichiarazioni pubbliche degli enti, la tutela dell’orso è un percorso culturale, oltre che ambientale, che non deve passare inosservato, finendo nel dimenticatoio. Passato il momento della rabbia e dell’orgoglio, non bisognerà obliare ma combattere. Con parole, con manifestazioni e scelte. Con tutto ciò che possa rivelarsi utile a far sì che uno scempio del genere non si ripeta. Non solo in Abruzzo o in Trentino, ma ovunque. In Italia e oltre. Se la scuola, la famiglia e tutte le altre istituzioni non intenderanno farlo, iniziamo ad auto-educarci al rispetto dell’ambiente, e a convivere con i nostri cari compagni di esistenza. Perché l’orso marsicano e qualsiasi altra specie animale protetta non sia minacciata e soffocata dalla presenza dell’uomo.