[dropcap]E[/dropcap]’ iniziata la petizione di 100mila bambini “Non un mio crimine ma una mia condanna”, indirizzata al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ed al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. Ad urlare i propri diritti sono i figli dei genitori detenuti che ogni giorno entrano nelle 213 carceri italiane per dare continuità al legame affettivo con il proprio papà o la propria mamma trattenuti. L’iniziativa, promossa dall’associazione “Bambinisenzasbarre” e da Change.org, si rivolge alle massime istituzioni e la società civile ponendo i riflettori sulla necessità che ogni ragazzino ha di condividere con i propri genitori le occasioni speciali, quali, il primo giorno di scuola, la recita di fine anno, la Comunione, le diverse cerimonie religiose e tante altre occasioni: esperienze negate dalla detenzione. I promotori dell’associazione spiegano che oggigiorno è molto improbabile che il magistrato consideri tali occasioni come momenti sensibili nella vita di un bambino, tanto da poter concedergli un permesso, riservandolo invece per la scomparsa di persone a lui molto vicine. Una questione non sostenibile e che potrebbe avere effetti deleteri, dato che per il bambino e l’adolescente soffre l’assenza del proprio genitore nei principali momenti della crescita e si sente stigmatizzaato come “figlio di detenuto”.[divider] La condanna del proprio familiare, quindi, ricade in modo pesante sulla sua vita e si incide nella memoria in modo doloroso ed indelebile. Ciò lo confermano le parole di Greta, 23enne, testimonial della petizione di “Bambinisenzasbarre”:
Il carcere, quello di San Vittore, e la mia infanzia si sono intersecate per tanti anni, tanti quanti gli anni di condanna dati a mia madre. Varcare la soglia di questo antico carcere era sempre difficile e i miei sentimenti erano contrastanti. Tuttavia, per me i giorni più tristi erano tutte le occasioni di festa o importanti: il Natale, i compleanni, il primo giorno di scuola, le recite di fine d’anno, il ritiro delle pagelle, mia mamma non era mai presente era sempre lì a San Vittore. Questa diversità, questa era un buco nero che inghiottiva i sorrisi, le risa e gli abbracci in carcere con mia mamma. Ancora oggi ne soffro, sento che questa parte della mia vita non mi sarà mai risarcita
Una realtà oscura e non conosciuta dai più, ma che nasconde la sofferenza atroce di migliaia di bambini la cui vita è già segnata dall’impossibilità di vedere quotidianamente la mamma ed il papà e che è complicata ulteriormente dal marchio che sono costretti a portare. Un marchio imposto dalla società, che addita questi ragazzi solo perché figli di criminali, trattandoli allo stesso modo. [divider]E’ necessario abbattere la prigione virtuale in cui questi ragazzi sono stati rinchiusi dalla visione collettiva, è necessario cambiare prospettiva, mettersi dalla parte di questi innocenti e capirne i bisogni, i sentimenti ed il grosso vuoto che li circonda. Capire soprattutto che questi figli hanno il sacrosanto diritto di vivere almeno i momenti importanti con i propri genitori, anche se questi hanno la fedina penale sporca. Ed infatti come ricorda Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre: “Nella carta dell’Onu sui diritti del fanciullo l’art.9 definisce con chiarezza il diritto ad intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori se non contrario all’interesse superiore del bambino, al quale va garantito la non discriminazione sociale a causa della condizione del genitore”. Ancora una volta in Italia non si ha voce per i propri diritti e per essere ascoltati bisogna gridare….ma in questa vicenda non si tratta di urla di cittadini “incazzati” bensì del pianto disperato di bambini innocenti.
Bruna Di Matteo