
Tempo fa scrissi un articolo per denunciare la disparità di trattamento fra lavoratori dipendenti che ricevono il ticket pranzo ed altri no.
Voglio ritornare sull’argomento e attualizzarlo al tempo dell’emergenza coronavirus e al lavoro da casa (cd. Lavoro agile)
E allora mi sono posto il quesito: ai lavoratori che prima beneficiavano del ticket e poi sono stati collocati in smart working spetta o non spetta il buono pasto?

Facciamo una prima premessa: l’art. 87, comma I, del Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge n. 27 del 24 aprile 2020 ha stabilito che nelle pubbliche amministrazioni il lavoro agile, nel periodo emergenziale, è “la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa” ed anche in precedenza il DPCM dell’ 11 marzo 2020 aveva previsto che le pubbliche amministrazioni fossero tenute ad assicurare Io “svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi“. L’utilizzo del lavoro agile non è dunque il frutto di una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma è imposto dal legislatore quale modalità ordinaria e generale.
Una prima risposta è arrivata dal Tribunale di Venezia, con una sentenza di pochi giorni fa, secondo cui il lavoro agile è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto.
Per la maturazione del buono pasto, sostitutivo del servizio mensa ( art. 45 CCNL di comparto), è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio. Quando la prestazione è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale.
Secondo il Tribunale lagunare neanche l’art.20 della legge n.81 del 2017, che nel disciplinare il lavoro agile prevede che il lavoratore in smart working abbia diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda, può supportare la pretesa del ticket pranzo per i lavoratori agili.
La prefata sentenza richiama anche il recentissimo orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 31137/2019) per la quale il buono pasto non è un elemento della retribuzione che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art.20 Legge n. 81 del 2017 in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell ‘ambito dell’organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita — laddove non sia previsto un servizio mensa — la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall’Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio.
A parere dello scrivente la sentenza è logicamente ineccepibile: se il lavoratore agile può scegliere in autonomia il proprio orario per espletare la sua prestazione lavorativa può tranquillamente fare pausa e andare a mangiare in cucina per poi riprendere a lavorare nella stanza affianco (se proprio non vuole rimanere in cucina), ma senza gravare sui conti dello Stato, il che vuol dire sulle nostre tasche.